Scoop giornalistici

La caccia | Trasmessa il: 04/01/2007



    Quale sensazione può provare il lettore che, aprendo un giornale qualsiasi (per esempio, “Repubblica” di lunedì 23), ne venga informato che il Papa è andato in visita in una parrocchia della sua diocesi – la chiesa di santa Felicita e Figli Martiri, a Fidene – e lì ha spiegato ai fedeli, accorsi in gran copia, che “l’Inferno esiste ed è eterno”? Senza dubbio, un’impressione di profondo, inatteso conforto. Non tanto per via dell’asserita esistenza del regno delle tenebre, che è materia su cui, con tutto il rispetto, ciascuno può avere le sue brave opinioni, ma capita così di rado di leggere che quel brav’uomo, per una volta, ha fatto il mestiere per il quale lo pagano (se lo pagano), nel senso di andare in una chiesa a parlare di religione alla gente, che quando succede non si può che compiacersene di vero cuore. Tanto più che il Pontefice pare abbia affrontato lo spinoso argomento con pacatezza e buon senso, insistendo sulla natura spirituale dei valori che il cristiano è chiamato a realizzare su questa terra, spiegando chiaramente che la pena più grave dell’Inferno consiste nella separazione eterna da Dio e astenendosi, quindi, da quelle terribili descrizioni di vessazioni oltremondane che, ancora ai tempi della mia giovinezza, erano care a ogni predicatore degno di questo nome. Pensate che ha persino evitato di impancarsi in quella sorta di casistica del peccato con cui in tempi meno illuminati bisognava fare i conti se non si voleva che un minimo sgarro – una deviazione occasionale dall’arduo cammino della castità, una singola messa persa la domenica, una braciola incautamente addentata di venerdì – ti catapultasse di botto in mezzo alle fiamme, alla mercé di antipatici demoni armati di forcone, per diffondersi, al contrario, sul concetto per cui la fede non è una imposizione, ma un’offerta che ciascuno può liberamente accettare con tutta la sua valenza salvifica e se no sono cavoli suoi, che è un discorso che a taluni potrà sembrare di stampo vagamente protestante, ma che fa sempre piacere ascoltare dalle labbra del Sommo Pastore. Certo, io (come voi) preferirei un Papa che più che sulle pene dell’Inferno ci intrattenesse sulle gioie del Paradiso, ma viviamo in un brutto mondo e il diavolo vi ha senz’altro la sua parte, come ci ricordano, a pagina 13 di quel numero di “Repubblica”, le brevi citazioni di quanto sull’Antico Avversario ebbero a dire San Pietro, Eugenio IV, Innocenzo VIII, Leone XIII, Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II.
    Nulla da eccepire, dunque, sul piano teologico e ci mancherebbe, data la ben nota competenza ratzingeriana nel campo. Qualche riserva, se mai, si potrebbe avanzare sul terreno della tecnica giornalistica. Perché, a pensarci bene, c’era proprio bisogno di pubblicare un servizio a tutta pagina, con strillo in prima, illustrazioni in nero e a colori, box, citazioni varie, intervento dell’esperto e quant’altro, per comunicare al mondo che il Papa crede nell’Inferno? Secondo la ben nota regola del cane che morde l’uomo, evidentemente, no. Certo, se l’ex capo del Santo Uffizio avesse – che so – citato i teologi della liberazione, quelli che sostengono che d’Inferno ce n’è abbastanza in questo mondo perché si senta il bisogno di ipotizzarlo nell’altro, o soltanto un teologo un po’ disinibito, come Hans von Balthasar, che nel secolo scorso ha autorevolmente sostenuto che, in considerazione della infinita misericordia divina, quel triste luogo potrebbe benissimo essere vuoto, non ci sarebbero state prime pagine sufficienti per accogliere i titoloni che l’evento avrebbe suscitato, ma su un tale terreno minato, come abbiamo visto, l’Erede di Pietro si è ben guardato dall’avventurarsi. Si è attenuto rigidamente, come il Suo ruolo d’altronde consigliava, ai dettami della tradizione. E dov’è, in questo, la novità? Che il Papa faccia il papa non è notizia che meriti la prima, né la tredicesima pagina.
    Eppure un minimo d’interesse giornalistico in quel servizio lo si poteva trovare. Vi era espressa, a ben vedere, quella che potremmo definire, forse un po’ capziosamente, una novità implicita, la stessa cui accennavo all’inizio di questa chiacchierata. Gli operatori dell’informazione non hanno potuto non accorgersi del fatto che, per una volta, il Papa non si è rivolto ai governi o ai legislatori, non ha chiesto privilegi ideologici o materiali per la Sua Chiesa, non ha minacciato sfracelli ove lo stato non si piegasse alle norme e ai valori di cui Lui è custode, non ha tentato – insomma – alcuna invasione di campo (ne hanno azzardate abbastanza, in settimana, i suoi vescovi), ma si è strettamente attenuto alle tematiche di Sua competenza. La relativa notizia non appartiene, quindi, né alla tipologia del cane che morde l’uomo né a quella dell’uomo che morde il cane: si tratta piuttosto, se mi concedete il parallelismo, di un cane che per una volta non ha morso nessuno. Il che ha senso, naturalmente, solo se riferito a esemplari di natura notoriamente mordace, dotati di buoni denti e abitualmente propensi a servirsene, ma non è questo, forse, un paragone su cui insistere alla vigilia della settimana santa. Buona Pasqua a tutti.

01.04.’07