Scontri di potere

La caccia | Trasmessa il: 05/04/2003



Non sarò certo io a negare all’avvocato Previti (dico avvocato perché chiamarlo “onorevole” mi sembrerebbe, francamente, eccessivo dal punto di vista dell’etimologia) il diritto di proclamarsi innocente e di attribuire la sua condanna alla particolare malevolenza di chi la ha pronunciata.  È una pratica diffusa tra quanti si trovano nella sua condizione e, del resto, sono anni che la magistratura italiana si è giocata, per così dire, l’autorevolezza in cambio dell’autorità.  Avrete notato anche voi come la certezza del diritto, in questo allegro paese, sia sempre stata sottoposta a un certo numero di condizioni abbastanza indebite e converrete certo sul fatto che un tribunale e una procura che hanno in carniere, tra gli altri, il caso Sofri, restano avvolti da una sorta di nebbia che nessun invito a resistere, resistere, resistere potrà mai dissipare.
        Libero dunque il noto avvocato di dire dei suoi giudici tutto il male che crede e liberi, naturalmente, i suoi amici e sostenitori di dargli manforte.  È vero che in un paese ben ordinato il capo del governo dovrebbe astenersi dal definire “golpisti” e “criminali” i giudici che hanno condannato un amico suo, ma nessuno ha mai sostenuto che il nostro sia un paese ben ordinato e il concetto di separazione dei poteri resta comunque al di là della portata intellettuale di chi attualmente riveste la carica.  La cosa, tuttavia, non esclude il dovere, o semplicemente l’opportunità, di motivare le proprie invettive.  In fondo, di fronte a una sostanziosa sentenza di condanna, non ci si può limitare a dichiararsi a gran voce innocenti e pretendere di essere creduti sulla parola (anche se disporre del pieno controllo dei media aiuta parecchio).  Qualsiasi protesta ha bisogno di una base argomentativa adeguata e tutti capiamo che la posizione di Previti sarebbe molto più solida se i suoi zelatori riuscissero a illustrare con chiarezza all’opinione pubblica i motivi per cui pensano che i magistrati ce l’abbiano tanto con lui.
Purtroppo, da questo punto di vista, sembra che i nemici del tribunale di Milano, ministro guardasigilli in testa, siano proprio, come si dice, in braghe di tela.  Non sanno far altro che ripetere che quei magistrati, con la loro “persecuzione”, altro non si propongono che di ribaltare il verdetto delle urne, restituendo ai partiti di sinistra per via giudiziaria quel diritto a governare che il popolo sovrano gli ha liberamente negato.  È un teorema che, come avrete notato, Berlusconi e i suoi non si stancano di ripetere: vi ci si aggrappano, di fatto, con una tenacia che sfiora l’ossessione.  E capirete che un argomento del genere, a due anni dalle elezioni, di fronte a un’opposizione come quella che ci ritroviamo, debole, divisa e rissosa, palesemente terrorizzata all’idea di contendere il governo ai suoi avversari e già disposta, comunque, a concedere loro, se non il ripristino pieno dell’immunità parlamentare, almeno la non procedibilità contro le alte cariche dello stato, lascia il tempo che trova.  Se effettivamente la magistratura si prefiggesse di far cadere il governo e se essa fosse davvero alle dipendenze di Rutelli, Fassino e Cofferati, costoro sarebbero i primi a bloccarla.
        In ogni caso, la questione andrebbe affrontata, una volta per tutte, nella sua complessità.  Previti e Berlusconi saranno anche due imputati eccellenti, ma le loro vicende, con rispetto parlando, non esauriscono l’universo giudiziario.  E se è vero che gli esponenti della maggioranza sono sempre pronti a insorgere in massa quando in giudizio finisce qualcuno di loro, a cominciare dal Capo e dai suoi sodali, è anche vero che si sono sempre mostrati piuttosto indifferenti di fronte ai problemi di ordinaria amministrazione della giustizia.  A quella magistratura che hanno appena finito di coprire di insulti sono pronti a restituire la piena fiducia quando si occupa di qualcun altro.  E non ci riferiamo al giubilo che hanno condiviso con l’intero mondo politico in occasione della recente assoluzione in appello del senatore Andreotti.  Pensiamo piuttosto alla tenacia con cui si sono sempre opposti, a rischio di fare uno sgarbo persino al papa, a qualsiasi proposta di concedere non diciamo un’amnistia o un indulto, ma persino un risicatissimo indultino, un gesto qualsiasi di buona volontà, ai tanti poveracci che, per sentenza di quegli stessi giudici, affollano l’inferno delle nostre carceri.  Garanzie, immunità e piede libero, costoro li richiedono esclusivamente per sé.  E la contraddizione implicita in questo atteggiamento li lascia del tutto indifferenti, perché la legalità, dal loro punto di vista, è cosa che riguarda sempre e soltanto gli altri.  Per cui, quella tanto ostentata contrapposizione alla magistratura finisce per rivelarsi per quello che è: una serie di scontri al vertice per il potere, una lotta squallida, in cui chi davvero si preoccupa della giustizia farebbe meglio, nonostante ogni ovvia tentazione, a non schierarsi.

04.05.’03