Nessuno di voi si sarà particolarmente
stupito, suppongo, dell’iniziativa del cardinale Sodano, che ha incontrato
per un giro di consultazioni – ma forse sarebbe più esatto dire che ha
convocato a rapporto – i principali leader politici del nostro paese,
compresi i due candidati alla massima carica dell’esecutivo. La
chiesa di cui Sua Eminenza è tanto autorevole membro ha sempre considerato
un espresso dovere quello di intromettersi nelle faccende mondane, ritenendo
evidentemente che l’affermazione del suo fondatore sul non essere il Suo
regno cosa di questa terra andasse considerata poco più di una battuta
di spirito, le cui applicazioni, peraltro, ha provveduto a condannare con
il Sillabo del beato Pio IX. In effetti, di trattative del tipo di
quelle che Sodano ha evidentemente avviato con Berlusconi (e – non si
sa mai – con Rutelli) se ne sono sempre svolte dai tempi di Costantino
in poi. Forse una volta venivano condotte con una qualche maggiore
riservatezza, ma il mondo cambia, la chiesa stessa si spettacolarizza e
i suoi dirigenti, che sono fatti, nonostante tutto, di carne e di ossa
come noi, non sanno resistere alla tentazione di vedere illustrate le proprie
azioni dai media. Con un po’ di ottimismo, potremmo persino trovare
in questa insolita pubblicità il segno, in sé positivo, di una trasparenza
maggiore, anche se i pessimisti la considereranno, più verosimilmente,
un’ostentazione di arroganza. Ma la trasparenza, si sa, è una cosa
che ci si può permettere solo quando si è abbastanza sicuri di sé per farlo,
per cui le due interpretazioni non sono, alla fin fine, troppo dissimili.
Per
quanto mi riguarda, a lasciarmi vagamente perplesso è stata solo una frase
che il Segretario di Stato vaticano si è lasciato sfuggire conversando
con i giornalisti, che l’hanno variamente riferita nei loro servizi di
martedì scorso. Oltre a dire che alla chiesa interessa conoscere
i programmi delle singole forze politiche, che per certi problemi, tipo
la difesa della vita e l’educazione dei giovani, essa ha un interesse
particolare e che “il papa, che è vescovo di Roma, ha particolarmente
a cuore la situazione italiana e desidera conoscerla sempre meglio”, tutte
affermazioni in sé ragionevoli, su cui è difficile trovare alcunché da
eccepire, il cardinale ha sentito il bisogno di fare una strana precisazione.
Ha spiegato di essere piemontese (è nato, infatti, a Isola d’Asti)
e di essere, quindi, “molto positivista” in faccende del genere. “A
scatola chiusa – ha aggiunto – nessuno accetta più regali. Non
può esserci nessuna meraviglia per questo interesse.”
Be’,
per l’interesse forse no, ma per l’espressione sicuramente sì. Nessuno
accetta più regali a scatola chiusa? E quando mai? Da che mondo
è mondo, è proprio a scatola chiusa che i regali si fanno e si accettano.
Non soltanto perché chi dona cerca di valorizzare il proprio omaggio
con una confezione adeguata e perché il piacere di scartare il pacchetto
e di aprire la scatola fa parte integrale delle aspettative di chi il dono
riceve, ma perché soltanto a scatola chiusa si esaltano le caratteristiche
di qualsiasi regalo. Il dono è, per sua definizione, qualcosa di
gratuito, qualcosa che ti viene offerto per pura benevolenza, a prescindere
(almeno in teoria) dal suo valore materiale, perché, si sa, quello che
conta è il pensiero ed è proprio a occultare quell’elemento indiscreto,
come ben sa qualsiasi confezionatore di pacchetti natalizi, che, in genere,
serve la scatola. Pretendere che i doni ti siano proposti, per così
dire, a scatola aperta, significa riservarsi il diritto di valutarli prima
ancora che ti vengano offerti, di decidere, in base a un tuo criterio
qualsiasi, se accettarli o meno, di sovrapporre, cioè, le tue prerogative
ideologiche e sociali a quelle del donatore, rifiutando da subito quel
piano di parità che il dono implicitamente comporta, almeno quando è un
vero dono, nel senso che esprime un’autentica manifestazione di affetto.
L’affetto, si sa, può esistere soltanto tra uguali.
Il
cardinale Sodano, evidentemente, ha commesso un errore. A scatola
chiusa, secondo l’ombrosa saggezza dei suoi conterranei, non bisogna comprare
mai niente. Si sa: il mondo è pieno di peccatori, di uomini malvagi
desiderosi di trarre vantaggio dalla fiducia altrui, ma tu, che sai che
la fiducia non si identifica con la dabbenaggine, controllerai sempre ogni
offerta che ti venga proposta. Ti accerterai che il peso sia proprio
quello dichiarato, che lo strato superiore di uva matura non celi una cesta
di grappoli vizzi, che il vitello non soffra delle principali malattie
dei bovini, che il terreno non sia soggetto a ipoteche o minacciato da
fenomeni di erosione. Se a vendere sarai tu, a tua volta, controllerai
che le monete del compratore siano effettivamente d’oro zecchino, e non
di metallo vile malamente dorato, anche se questo comportasse la necessità
di mettere a repentaglio la chiostra dei denti mordendole a una a una.
E questo non significa, dio scampi, dubitare della buona fede della
controparte, che, d’altronde, si comporterà nei tuoi riguardi nello stesso
identico modo. Significa solo adottare delle precauzioni tanto ragionevoli
da essere entrate nell’uso universale.
Questa
morale da bottega, questo atteggiamento da sensale di bestiame e granaglie
esprime senza dubbio una certa ragionevolezza, ma non sarebbe corretto,
forse, erigerla a norma universale. In fondo si applica solo ai rapporti
mercantili, alla sfera dello scambio interessato . Non dovrebbe
avere nulla a che fare con la dimensione del dono. Ma che volete,
c’è della gente che alla dimensione del dono, alla categoria del gratuito,
non riesce, con tutta la buona volontà, ad avvezzarsi. La chiesa
del cardinale Sodano, per esempio, crede nella Grazia come manifestazione
divina (e in quella parola, senza essere dei glottologi esperti, tutti
riconosciamo la parentela con il “gratuito”), ma le sue gerarchie, fatte
le debite eccezioni, nella gratuità non hanno mai avuto una particolare
fiducia. Fino a pochi secoli fa, in effetti, vendevano in contanti
persino la liberazione delle anime del Purgatorio e al connesso mercato
delle indulgenze non hanno rinunciato del tutto neanche oggi. Quanto
ai rapporti con i grandi della terra, quella del mercato è sempre stata
la regola. E al mercato, appunto, non si compra a scatola chiusa:
si tasta la merce, la si fiuta, la si soppesa: si cerca, se possibile,
di ottenerne un assaggio. A questo, evidentemente, pensava il cardinale
Sodano, che pure deve essersi trovati davanti i più remissivi tra i venditori,
tutta gente disposta a concedere gli sconti più favolosi e a offrire le
più straordinarie condizioni di pagamento. Ma non è necessario essere
piemontesi, naturalmente, per sapere che da chi ti propone delle condizioni
troppo favorevoli è sempre meglio diffidare un poco.
E i regali che c’entrano? Niente,
non c’entrano niente. Al momento di estrinsecare il suo punto di
vista, Sua Eminenza avrà pensato che, in bocca a un principe della Chiesa,
un accenno troppo esplicito al vendere e al comprare sarebbe stato un po’
sconveniente, onde il ricorso eufemistico all’espressione che ci ha tanto
stupito. In certi ambienti l’abitudine al do ut des è tanto radicata
che si finisce con il manifestarla anche quando sarebbe più opportuno tenerla
nascosta. A noi resta la curiosità di sapere quali garanzie avrà
offerto al diffidente prelato il futuro capo del nostro governo, chiunque
possa essere. Ma state sicuri che questo non ce lo diranno mai.
Carlo Oliva, 25.02.’01