Sanzioni e concorsi

La caccia | Trasmessa il: 03/03/2002



Mi è capitato di citare, nell’intervento precedente, il “concorso morale”.  Si tratta, come saprete, di un ingegnoso marchingegno giuridico grazie al quale è possibile imputare a qualcuno una qualche disdicevole azione che lui non ha commesso, né voluto, ma, per qualche sua ragione ha approvato o si è rifiutato di condannare.  A me, che non sono un tecnico del ramo, è sempre sembrato un modo per colpire le opinioni e le idee, ma forse, naturalmente, mi sbaglio.  E anche se credo che la sua applicazione, a norma di codice, sia possibile solo in un limitato numero di casi, temo sia abbastanza facile, per chi solo lo voglia e ne abbia il potere, trasformarlo in “concorso” tout court, tanto è vero che se ne è fatto ampiamente uso, nel passaggio tra gli anni ’70 e gli ’80 del secolo scorso, per mandare in galera un certo numero di “cattivi maestri” (di dirigenti e teorici, cioè, della sinistra antagonista) e di poveri cristi assortiti che, pur non avendo colpe specifiche, stavano, a giudizio insindacabile degli inquirenti, meglio dentro che fuori.  È una pratica cui si sono dedicati con larghezza di vedute anche taluni settori della magistratura, ed è questo –tra parentesi – uno dei motivi per cui sono sempre un po’ riluttante a rilasciare ai magistrati italiani in blocco, nonostante i noti meriti acquisiti nella lotta alla corruzione, quella patente di alfieri indiscussi della democrazia che spinge tante brave persone a fare il girotondo attorno ai Palazzi di Giustizia.  Ma questo voi lo sapete già e non era mia intenzione affliggervi battendo una volta di più su quel chiodo.
        Il fatto è che il “concorso morale” mi si rivelato improvvisamente un capolavoro di sapienza e di civiltà giuridica al confronto con quelle “sanzioni morali” che il ministro Frattini, che gli dei lo perdonino, si è vantato di aver previsto nel suo discusso disegno di legge sul “conflitto di interessi”.  Una legge, come sapete, che, in nome esclusivo del diritto di proprietà, permette ai potenti di perseguire gli interessi privati che vogliono, salva l’eventualità che un’Authority  (che, attenti, non è la stessa cosa di un’Autorità, ma è un ente che dall’Autorità vera e propria è stato insediato, il che fa la sua bella differenza) segnali alle Camere il fatto, facendo magari notare che, a suo avviso, non sta bene.
        A dire del ministro Frattini non potrebbe darsi, per un politico, reprimenda più grave, tanto è vero che si è rivolto in aula ai colleghi parlamentari chiedendogli se non fossero proprio convinti che lui, ove colpito per caso da tale sanzione morale, non si sarebbe dimesso all’istante.  Si è sentito rispondere con un coro di “No!”, ma non sembra ne sia restato particolarmente turbato.   Come è probabile che la prospettiva non abbia turbato e non turbi nessuno dei suoi colleghi di governo e di maggioranza, convinti, non a torto, che, proprio come con il “concorso morale” si puniva un concorso che di fatto non c’era stato, con la “sanzione morale” si minaccia una sanzione che senz’altro non ci sarà.
        Perché ammettiamo pure che un’Authority nominata dal governo informi un Parlamento che quel governo ha insediato di un qualche conflitto particolarmente succoso riguardante un membro dell’esecutivo.  Che cosa succederebbe?  Qualcuno pensa per caso che i parlamentari passerebbero in massa all’opposizione?  E chi li rieleggerebbe, poi?  O che quel membro, soffuso il volto di rossore, si affretterebbe a rinunciare alla carica?  Potrebbe succedere, forse, se contro di lui si levasse un’ampia ribellione dell’opinione pubblica, ma proprio questo – lo ammetterete – è assai improbabile nel caso concreto su cui in Italia si sta discutendo, cioè quello in cui il conflitto riguarda la disponibilità dei mezzi con cui informare e influenzare l’opinione pubblica stessa.  Ed è improbabile, soprattutto, se si tiene conto della improntitudine storica, della faccia di bronzo epocale di questo branco di impuniti e di sinvergüenza, gente che sembra considerare l’aggettivo “morale” un sinonimo di “inesistente” e per il fatto di aver vinto le elezioni (come ci ripetono ossessivamente, quasi non lo sapessimo già, i portavoce del moderatismo nazionale) è senz’altro legittimata a occupare il posto che occupa, ma non è per questo sanata dall’incapacità genetica di distinguere l’interesse generale dal proprio, personale o di classe che sia.
        Questo non significa, naturalmente, dare degli imbecilli alla maggioranza (scarsa) degli italiani che li ha votati.  Significa solo esprimere il convincimento che molti, troppi, si sono lasciati ingannare dalle armi di una propaganda che soverchiava, per potenza di fuoco, la voce della verità.  Nel senso che il conflitto di interessi non nasce adesso che costoro sono al governo, ma si è largamente manifestato nella procedura con cui al governo, ahimè, sono arrivati.   Quello che è stato è stato, ovviamente, e non c’è sanzione o recriminazione che tenga.  Tanto, gli unici a essere sanzionati, come al solito, siamo noi.

03.03.’02