Sante parole

La caccia | Trasmessa il: 05/30/2010


    Leggo sul “Manifesto” di martedì scorso il testo di una breve preghiera messa a punto dalla chiesa anglicana del Sudafrica in vista dei prossimi mondiali di calcio e destinata a coloro che di quel gioco non sono particolarmente appassionati. “Signore,” recita “ ora che nel nostro quartiere tutti sono presi dalla febbre del calcio, concedici comprensione, fortificaci con pazienza e concedici il regalo dell'empatia quando ne abbiamo bisogno. Amen”
    Il quotidiano non fornisce informazioni su chi abbia proposto o adottato quella particolare liturgia e perché: si limita a pubblicarne le parole in exergo, in testa alla pagina dei commenti. Ma sono parole, ne converrete, che di grandi spiegazioni non hanno bisogno. Io stesso, se fossi solito indulgere alla preghiera più assiduamente di quanto non faccia, le adotterei senza esitare. In Italia non sono previsti campionati internazionali di calcio (abbiamo, da questo punto di vista, già dato), ma non dubito che la lontananza geografica non basterà a impedire ai tifosi locali di abbandonarsi, in caso di successi della squadra nazionale, a quegli eccessi che richiedono al normale cittadino appunto pazienza e comprensione. Qui a Milano ne abbiamo appena fatto esperienza, ahimè, con le recenti cerimonie conclusive del campionato nazionale, della Coppa Italia e della Coppa dei Campioni, che hanno suscitato in tutta la città, e particolarmente dalle parti di casa mia, che è collocata, per mia sfortuna, in vicinanza di un posto dove di solito, in quelle occasioni, si attirano le folle erigendo grandi schermi, ogni sorta di fastidioso schiamazzo. La notte di sabato l'altro, in particolare, quando il giubilo popolare per il trionfo sul Bayern mi ha tenuto desto fin quasi all'alba, me la ricorderò per un pezzo.
    Di pazienza e comprensione, a parte il calcio, d'altronde sento spesso il bisogno in occasione di avvenimenti sportivi. Succede, in particolare, quando mi trovo bloccato in casa dalla Stramilano, o dalla Maratona, o dall'ultima tappa del Giro d'Italia, tutte “feste mobili” che, a quanto pare, devono assolutamente coinvolgere la via dove abito, come se non ci fossero, nella grande Milano, altre vie e viali atti allo scopo, da utilizzare – magari – in democratica rotazione. Macché, proprio nella specifica zona del mio habitat deve trovar posto il tratto finale dei singoli eventi, con il tradizionale accompagnamento di vigili urbani altezzosi e traffico forzosamente bloccato, e di solito la domenica, quando devo a tutti i costi arrivare qui in radio e il tragitto verso via Ollearo si trasforma in una specie di percorso di guerra. E lo so che non dovrei vedere le cose soltanto dal mio personale punto di vista, che le tradizioni sono tradizioni e che quegli eventi fanno ormai parte a tutti gli effetti del folclore cittadino. In ciascuno di noi alligna un poco di paranoia e non riesco a non sentirmi personalmente perseguitato.
    Dacci quindi, o Signore, pazienza e comprensione, come ben ci consiglia di chiederti la chiesa anglicana del Sudafrica, le cui parole, pur da povero miscredente, accolgo con gratitudine. Con una riserva, tuttavia: risparmiaci (risparmiami) l'empatia, anche quando ne abbiamo bisogno. L'empatia, se non vado errato, è la facoltà di comprendere i sentimenti altrui fino a immedesimarcisi e mentre io, Signore, sono disposto a fare gli sforzi più strenui per comprendere quei mentecatti che suonano il clacson a manetta e si sporgono pericolosamente dai finestrini per agitare misteriosi bandieroni, o quegli altri che si trascinano per l'ultimo miglio del loro calvario mettendo a prova durissima le coronarie, a immedesimarmi con loro non ci provo nemmeno. Anzi, non ci tengo affatto. Non riesco a comprendere che tipo di divertimento ci possa essere nel trovarsi bloccati in quello che è a tutti gli effetti un gigantesco ingorgo del traffico, anche se si tratta di un ingorgo appositamente voluto e creato. Capisco il loro giubilo, se pure non lo condivido, ma nella loro volontà di imporlo senza riserve a tutti gli astanti (anche a quelli che ad altro non ambirebbero che dormire pacifici nei loro letti) non riesco a non vedere un che di sopraffatorio, una tendenza a tenere in non cale le legittime esigenze altrui cui proprio non posso accondiscendere. E se in tutto ciò Tu vedi, da parte mia, una manifestazione d'orgoglio, un'indebita ostentazione di superiorità, l'altezzosa incapacità di comprendere le semplici gioie dei miei fratelli in umanità, allora perdonami, o Signore. E se proprio non ti è possibile incenerire quegli esaltati a colpi di fulmine, almeno manda loro abbondante la pioggia, il vento e la grandine, in modo che, sbattuti, percossi e fradici fino all'osso, capiscano che se pure ha trionfato la squadra del cuore loro, questo mondo imperfetto resta sempre un luogo di contrizione e di esilio. Amen.
30.05.'10