Sant'Anselmo al telefono

La caccia | Trasmessa il: 03/16/2008


    Squilla il telefono e alzo la cornetta. Al mio “Pronto” risponde una voce gentile. “Buongiorno” mi dice. Parla il laboratorio di restauro Salimbeni. Ci ha chiamato Lei, poco fa?” No, non ho chiamato io. Con i laboratori di restauro non mi sembra di aver mai avuto nulla da fare. Non sono mica Sgarbi. Per cui spiego al mio interlocutore che deve aver sbagliato numero, lui si scusa, ringrazia e mi augura la buona sera. “Buonasera a lei” gli faccio a mia volta e riattacco.

    Solo dopo qualche minuto mi sorge il sospetto di essere stato un pochino precipitoso. In questa casa, dopotutto, non vivo da solo e quel numero può averlo chiamato benissimo la compagna della mia vita. “Laboratorio di restauro” è un termine abbastanza ingannevole, nel senso che fa pensare ad alte operazioni di archeologia e antiquariato, ma può anche coprire delle realtà più terra terra, quali le attività di quegli onesti artigiani dediti alla riparazione di seggiole e mobili vari e in casa c'è appunto una vecchia sedia che di un qualche intervento ha urgente bisogno. È vero che gli artigiani, quei pochi che restano, consapevoli del vantaggio che gli assicura la legge della domanda e dell'offerta, tendono a essere, nei rapporti con la clientela, un po' meno cerimoniosi del signore al telefono, ma non si sa mai e, del resto, si fa in fretta a controllare. La tecnologia moderna, per il tramite del mio gestore telefonico, mi offre un servizio miracoloso, rivolgendomi al quale posso scoprire qual è l'ultimo abbonato che mi ha chiamato. Sollevo la cornetta, compongo il numero relativo e una piacevole voce sintetica mi informa che “Il numero dell'ultima telefonata non riservata ricevuta è questo e quello, alle ore tali e minuti tali del giorno talaltro”, che è appunto oggi. “Per richiamare il numero ”aggiunge “prema il tasto 1”. Eseguo e la stessa voce mi comunica, in tono brusco, ma non privo di un certo rammarico: “Numero non esistente”.


    Lì per lì, naturalmente, ci resto un po' male. Poi rifletto e mi accorgo che in quel messaggio c'è qualcosa che non va. Se quel numero non esiste, come faccio ad averne ricevuto una chiamata? Una cosa esiste o no. Il problema, posto in questi termini, sarebbe tale da mettere a dura prova la mente di uno dei tanto dotti, come Giovanni da Salisbury e Anselmo d'Aosta che al problema dei rapporti tra essenza ed esistenza hanno dedicato anni e anni di fatiche intellettuali, ma forse è solo un equivoco, un errore di comunicazione, un caso banale di fraintendimento semantico. Non mi ci arrovello più di tanto e passo ad altro.

    Il giorno dopo, però, ricevo una mail con il preventivo che ho chiesto a una certa agenzia e rispondo con la consueta solerzia, cliccando sul tasto apposito. Un paio d'ore dopo, al primo controllo della posta che mi capita di fare, eccoti che la mia risposta è già tornata indietro. Il gestore del server o chi per lui mi comunica, chissà perché in inglese, che il mio messaggio conteneva degli “errori di consegna fatali e PERMANENTI” (l'ultima parola è in tutte maiuscole) e che, “dopo uno o più falliti tentativi di consegna è stato tolto dalla coda su questo server.” Di conseguenza “non è stato recapitato a uno o più destinatari”, perché l'indirizzo cui era stato avviato non era giusto (failed adresse).
    Ci risiamo. Mandare un messaggio a un indirizzo sbagliato è cosa affatto normale e si spiega, di solito, con un lapsus di memoria o un errore di digitazione. Ma in questo caso non ho digitato niente: ho soltanto cliccato su un pulsante che ha automaticamente inviato la mail all'indirizzo da cui era partito il messaggio cui intendevo rispondere. E anche qui il problema si può (e forse si deve) porre in termini di non contraddittorietà dell'esistenza: se quell'indirizzo esisteva quando da esso mi hanno mandato un messaggio, perché non esiste adesso che gliene mando uno io? Sì, può darsi che nei cinque minuti intercorsi tra arrivo della mail e invio della risposta l'agenzia abbia chiuso, o abbia cambiato server, ma ne dubito alquanto. C'è una sorta di asimmetria tra lo statuto esistenziale di partenza e quello di arrivo che mi irrita e mi infastidisce.

    Sì, so già che cosa volete obiettarmi. Non è davvero il caso di metterla giù così dura. Il problema, più che di tipo esistenziale, potrebbe essere di natura meramente tecnica. Entrambe le volte mi sono trovato ad avere a che fare con un meccanismo, presumibilmente di natura elettronica, che, per via di un qualche errore di programmazione, di un algoritmo sbagliato, di un contatto imprevisto, di un “baco”, insomma, come credo si dica, non ha funzionato come doveva. Il che può confermare l'opinione corrente per cui non esiste genia più approssimativa, maldestra e pasticciona di quella degli operatori informatici, ma non c'entra niente con Sant'Anselmo, che notoriamente si occupava di cose molto più serie e, riflettendo sull'esistenza, riusciva persino a trovare la dimostrazione di quella di Dio.
    Un errore, dunque. Anzi due. Ma non trovate anche voi che sia una felix culpa quella che ci permette di collegare espressioni come “esistente” e “non esistente” a una serie di operazioni, nostre o altrui? In fondo, l'unico modo di affrontare il problema dell'esistenza senza farne un qualcosa di assoluto, e quindi inattingibile, è quello di considerarla una specie di oggetto categoriale: il risultato di certe operazioni mentali con le quali tu allontani qualcosa da te (il termine stesso contiene, etimologicamente parlando, la particella ex, che indica “il porre fuori”) e, in un certo senso, lo spazializzi, conferendogli un certo statuto. Ma la validità dello statuto in questione, evidentemente, dipende dai tuoi obiettivi e dalle tue finalità. Quel numero che non sono riuscito a raggiungere attraverso la Telecom “esiste” sicuramente in un contesto matematico, in cui qualsiasi numero esiste nel momento in cui viene predicato, ma può “non esistere” in altri piani. Basta passare dal punto di vista ontologico a quello operativo per passare dall'arcigno universo del “se è così è così e se no no” a quello, assai più confortevole, del “dipende dai casi e dai punti di vista” e la contraddizione cessa di essere tale. Se permane, come nel contesto telefonico da cui siamo partiti, segnala la presenza di un errore e ci invita a correggerlo, se ne siamo capaci.

    E visto che quella di individuare gli errori e correggerli – a partire naturalmente dai nostri – è una delle attività più proficue a cui ci si possa dedicare, abbiamo scoperto un motivo per essere grati al Laboratorio di restauro Salimbeni, al mio server di posta e, naturalmente, alla società dei telefoni.

    16.03.'08

    Nota

    Il “punto di vista operativo” cui si accenna, naturalmente, è quello proposto ed elaborato da Silvio Ceccato nella sua vasta opera. In essa, per quel che ne so, non si trova un'analisi esplicita dell'esistenza come categoria, ma ci si occupa spesso del verbo “esistere”. Cfr. per esempio Contra Dingler pro Dingler, in “Methodos”, IV, 15-16, 1952, poi in Un tecnico tra i filosofi, vol. 2, Marsilio, Padova 1966, pp. 488-532, ora in Il carteggio Ceccato-Dingler, a c. di Carlo Oliva, Società di Stampa Sportiva, Roma 2001, pp. 81-114. Vedi in particolare a pag. 90.