Ritrosie

La caccia | Trasmessa il: 12/05/2004



Non so se in un altro paese che non l’Italia si potrebbe sentir affermare che un esponente di spicco della maggioranza “ha ceduto” (o, come preferisce, “il manifesto”, “si è arreso”) alle pressioni del capo del governo, assumendo la vice-presidenza del Consiglio dei ministri.  Sono verbi, quelli, che più che alle vicende della politica fanno pensare alle peripezie dell’eroina di un romanzo dell’Ottocento, di quelle che dovevano sempre fare forza a se stesse prima di accettare, con il cuore in gola, le profferte di un innamorato impaziente, un ruolo che non so a voi, ma a me poco sembra addirsi all’onorevole Follini, che, in fondo, è uno di quegli ex democristiani sulla cui avidità di poltrone nessuno ha mai avuto motivo di dubitare.  Ma l’Italia, dal punto di vista della comunicazione, è diventata un paese peculiare.  È quello in cui un Berlusconi si vanta di aver tagliato le tasse nel mentre fa salire la pressione fiscale (e finge di stupirsi se contro tagli siffatti poi si sciopera) e un Buttiglione si lamenta di essere discriminato perché da noi il cristianesimo, si sa, è oggetto di persecuzione peggio che sotto Nerone.  È il paese delle facce di bronzo e dell’impudenza eletta a sistema, la terra in cui chiunque goda di un minimo di potere può permettersi di raccontare le più straordinarie panzane nella certezza che nessuno avrà né il coraggio né il modo di rispondergli per le rime e in cui, dunque, si può far credere tranquillamente che Follini abbia assunto la carica di vicesilvio perché proprio non ha potuto farne a meno.
        Così, purtroppo, va il mondo.  Ma rallegriamoci, almeno, al pensiero che l’irresistibile ascesa del vecchio doroteo dovrebbe por fine a uno dei più indecorosi giochi delle parti cui da tempo ci sia capitato di assistere.  È dallo scorso giugno che l’opposizione fa conto sulle capacità di resistere di Follini.  Che di fronte ai propositi sempre più burbanzosi del silvio in carica, alle minacce di mandare al macero i vincoli europei, di eliminare la par condicio, di farsi confezionare una legge elettorale su misura e di restaurare, se necessario, la monarchia, spera quasi esclusivamente nell’aurea moderazione del segretario dell’UDC (oltre che in quella di Fini, che, per un residuo pudore, non si può dire), senza lasciarsi impressionare se alla prova dei fatti tali speranze si sono via via rivelate ancora più patetiche e vane di quelle riposte nel Presidente Ciampi.   Che questo significhi delegare a qualcuno del campo avverso il compito di fare il proprio mestiere ai leader dell’Ulivo, della GAD o di come la volete chiamare non è venuto in mente mai.   Né avevano, in verità, molte altre vie aperte davanti: costituzionalmente incapaci di opporsi davvero a qualcosa, assuefatti alla droga dei compromessi e delle mediazioni, troppo occupati a tagliarsi l’erba sotto i piedi l’un l’altro e a cercare un candidato le cui probabilità di soccombere nel conflitto lombardo con il pio Formigoni fossero, non che matematiche, assolute, non potevano che sperare che qualcuno gli cavasse, come si dice, le castagne dal fuoco.  Con il risultato che tutto il dibattito degli ultimi mesi, quello sulla finanziaria e sulla pseudo riforma fiscale, invece che svolgersi, come dovrebbe essere d’uso nelle democrazie liberali, tra le forze di governo e quelle di opposizione si è svolto, l’avrete notato  anche voi, tra il governo e se stesso.
E adesso che quell’inaffidabile di Follini, ahimè, sta a palazzo Chigi, non si sa a chi affidarsi per il futuro.  L’unica possibilità, in definitiva, resta quella di Berlusconi, che, si è visto, riesce benissimo a fare l’opposizione ai suoi stessi ministri.  Non sarebbe la prima volta, d’altronde, che la sinistra confida più nell’Uomo di Arcore che in se stessa.  Lui, almeno, di ritrosie non ne ha mai avute.

05.12.’04