Ritorno al passato

La caccia | Trasmessa il: 10/25/2009


    Non mi sembra che la dichiarazione del ministro Tremonti sulla preferibilità del lavoro stabile rispetto a quello precario meritasse tutto il chiasso che se ne è fatto. Certo, ha dimostrato che il responsabile dell'economia nazionale ha una faccia che ricorda molto un'altra parte del corpo, visto che la diffusione del precariato in Italia è opera soprattutto di governi di cui ha fatto parte lui (ancorché la tipologia sia stata introdotta – non lo dimentichiamo – dal primo ministero Prodi), ma, insomma, dire che tra le due ipotesi quella della stabilità fa aggio sull'altra è soltanto un'ovvietà tale da fare il paio con un'osservazione che Friedrich Engels mette in bocca al suo vecchio maestro elementare, in un passaggio – mi sembra – della Questione delle abitazioni (1871). Costui, ricorda il cofondatore del materialismo dialettico, aveva avuto modo, nel corso di una vita travagliata, di soggiornare, a volte, in alberghi di lusso e di dormire, in altre occasioni, sulle panchine del parco e assicurava che, fatti i debiti raffronti, gli alberghi erano infinitamente più comodi delle panchine. Nella stessa logica, la prospettiva di poter contare, sul lungo periodo, su un'entrata mensile ragionevolmente sicura, permette di organizzare la propria vita con molto maggior agio. L'unico punto di vista contrario può essere quello di chi lo stipendio deve erogare e preferirebbe non essere sempre tenuto a farlo, e infatti in Confindustria hanno strillato come aquile, ma è ovvio che in quella sede avrebbero avuto un vero motivo di lamentarsi solo se il ministro, oltre all'affermazione di principio, avesse proposto un qualche disegno, una qualche misura concreta per scoraggiare il precariato e incrementare la stabilità. Di progetti del genere, invece, non se ne sono né visti né sentiti e Berlusconi, intervenendo per silenziare quei ministri che, con indebita ostentazione di zelo, avevano già cominciato a inveire contro il buon Giulio, ha spiegato che la questione si gioca tutta sul campo dei valori astratti. Il posto fisso, ha sentenziato l'uomo di Arcore, è certamente un valore e nessuno ne potrebbe essere più convinto di lui, ma un valore rappresentano anche le partite IVA, intese (ovviamente) come metafora del precariato: un'affermazione che agli occhi dei malevoli potrebbe sembrare pilatesca e contraddittoria, ma forse significa soltanto che, secondo il principale statista degli ultimi 150 anni, i lavoratori sono liberi di auspicare tutta la stabilità che vogliono e gli imprenditori sono altrettanto liberi di negargliela. Ammetterete che soltanto un grande, grandissimo liberale avrebbe potuto dirimere con tanta saggezza il problema.
    Vale la pena di notare, comunque, che tra gli uomini di governo così autorevolmente rintuzzati figura (non poteva non figurare) il famoso Brunetta. Anche costui, nel suo piccolo, si era avventurato sul terreno delle dichiarazioni di principio, osservando come la valutazione del collega rappresentasse “una ricetta del secolo scorso”, che lui non poteva condividere. Una dichiarazione in sintonia con quella della Marcegaglia, per la quale, guarda un po', “la cultura del posto fisso è un ritorno al passato”, qualcosa di impossibile, quindi, e per di più responsabile “dell'aumento della disoccupazione, del sommerso, per esempio nel Mezzogiorno” e della logica, nella pubblica amministrazione, “dell'assenteismo e dei fannulloni”, che è un'esplicita captatio benivolentiae verso chi della lotta ai fannulloni aveva fatto il suo marco di fabbrica. Alla Confindustria, insomma, sono memo ecumenici che a Palazzo Chigi e preferiscono delle scelte ideologiche più impegnative, a costo di indurre la discordia nella compagine del governo.
    Sbaglierò, ma non credo che su una simile divaricazione i nemici del governo e della Confindustria possano fare un gran conto e che possa giovare loro, come già qualcuno nel Partito Democratico sembra tentato di fare, cercare di inserirvisi, scoprendo il valore democratico ed esistenziale delle “collaborazioni a progetto” e della mini imprenditorialità personale. In fondo, che il precariato, o, come preferiscono dire loro, “la flessibilità”, fosse per propria natura qualcosa di più avanzato, di più progressivo, di più moderno, fino all'altro ieri lo sosteneva anche Tremonti. Fa parte della logica della destra italiana, frange lunatiche a parte, rivendicare una natura progressiva, una tendenza insopprimibile al rinnovamento, di cui sarebbe incapace una sinistra desolatamente legata ai tabù del passato. In un paese in cui i cardinali danno lezioni di laicismo e il valore più apprezzato a sinistra è il “senso della responsabilità” il gioco funziona così. Di fronte a un'accusa di conservatorismo, nessuno, dalle nostre parti, trova l'energia di rispondere che il problema, in questi casi, è quello di stabilire che cosa si debba conservare. Per i nostri rappresentanti la logica del lavoro, inteso come forza antagonistica organizzata, è soltanto un residuo della storia e non passa loro in testa nemmeno per avventura che assumere il punto di vista dei propri avversari è il metodo più sicuro per condannarsi all'irrilevanza. Non tengono conto, evidentemente, della lezione del vecchio maestro di Engels.
25.10.'09