Vi confesserò di non avere completamente afferrato il motivo per cui, in
questi giorni, tanti concittadini giustamente solleciti della necessità
di combattere la pedofilia abbiano sentito il bisogno di aggiungere, come
se fosse un precisazione importante, “via Internet”. E non solo
perché sono convinto, come immagino siate anche voi, che la pedofilia vada
combattuta in generale, in qualsiasi forma si esprima o si manifesti. Anche
se di Internet non sono particolarmente esperto (anzi, tanto vale dire
che non ci capisco nulla) non credo che, allo stato attuale della tecnologia,
si possano avere dei rapporti sessuali via rete. La rete non è neutrale,
naturalmente, perché attribuisce comunque del potere a chi se ne serve
e può essere utilizzata per commettere una quantità di reati, molti dei
quali gravi e ripugnanti, ma ha anch’essa i suoi limiti. La pedofilia,
in Internet, potrà essere propagandata e promossa, che è certo cosa grave,
o consumata in forme derivative, per esempio prendendo visione di immagini
e di filmati, che è altrettanto grave, naturalmente, perché all’attività
di chi riprende quelle fotografie e quei video offre un ulteriore mercato,
ma entrambi questi momenti rappresentano lo sviluppo di una serie di attività
che con la comunicazione elettronica nulla hanno a che fare e con zelo
maggiore, mi sembra, dovrebbero essere perseguite e represse. Quanto
alle storielle dei bambini ingenui che, navigando in rete, cadono in chissà
quali trappole, be’, dite pure quel che volete, ma io non ci credo.
Tutto questo, in fondo, è abbastanza ovvio.
Come è ovvio il fatto che molti fra quanti ci mettono in guardia
contro il pericolo dell’eccessiva libertà di diffusione di materiale in
rete lo fanno perché sono convinti a priori che un mezzo di comunicazione
di tanto facile accesso vada comunque regolamentato e imbrigliato e l’occasione
è troppo buona per lasciarsela scappare. Quando, a qualsiasi proposito,
qualcuno depreca il pericolo di un eccesso di libertà, a dubitare della
sua buona fede non si sbaglia mai troppo. Nel caso di Internet, poi,
sappiamo tutti che gli interessi ideologici e commerciali in gioco sono
troppo cospicui per non sospettare che in quella deprecazione non abbiano
parte.
Ma visto che le persone sinceramente convinte che dalla repressione delle
attività in rete e non da altro si debba partire sono comunque parecchie,
varrà forse la pena di chiedersi come mai. Come non sarà inutile
chiedersi come mai, quando, una settimana fa, scoppiò il putiferio delle
denuncie, l’argomento che più appassionò l’opinione pubblica e i media
fu, in sostanza, quello della responsabilità dei direttori dei telegiornali
che ne avevano dato conto, e una volta che quella polemica si è esaurita,
con la canonica sostituzione di un non ex democristiano con un ex democristiano,
della tragedia di quei poveri bambini si è smesso praticamente di occuparsi.
Mi permetterò di proporvi una risposta assolutamente
minimale. Che, cioè, è molto più facile (e meno inquietante) discutere
della normalizzazione di Internet o del ruolo di un direttore di telegiornale
che non di pedofilia. Perché discutere di pedofilia significa esprimere
un giudizio su noi stessi e sulla società in cui viviamo e chiederci come
mai una pratica che in teoria è aborrita da tutti e da tutti è unanimemente
condannata, vi alligni con tanto vigore. A nessuno piace ammettere
che di abusi sui minori se ne commettono nelle migliori famiglie e che
il mercato sotterraneo del materiale pornografico incentrato sui bambini
è talmente vasto che basta incidere la superficie per vederlo venire alla
luce. Ben pochi sono disposti a fare i conti con le pulsioni che
emanano dal lato oscuro di ciascuno di noi, ad ammettere che, tutto sommato,
siamo molto meno civili di quanto ci piacerebbe. E non è piacevole
chiedersi cosa ci sia di tanto tragicamente sbagliato nelle forme in cui
la nostra cultura organizza la sessualità,
La rimozione, perché di rimozione si tratta,
nasce sempre dal rifiuto di guardarsi allo specchio (C.O.)
08.10.’00