Riflessi condizionati

La caccia | Trasmessa il: 11/16/2003



È raro che un uomo di governo resista alla tentazione di reagire a una catastrofe o a una sciagura imprevista in altro modo che invocando l’unità del Paese e chiedendo a gran voce che, in un momento tanto grave, cessino risse e polemiche.  È raro anche perché una simile invocazione, di solito, si sposa all’impegno solenne di non deflettere di un millimetro dal cammino intrapreso, per cui la “unità” che nelle emergenze si auspica va sempre intesa come un puro e semplice allineamento alle posizioni di chi te la chiede e quella di intimare ai cittadini (o ai sudditi) di smetterla con le chiacchiere e di dichiararsi, una buona volta, d’accordo con loro è vocazione istintiva di tutti coloro che, a qualsiasi titolo, esercitino il potere.
        Ciò premesso, e dando pure per scontato che la reazione di Berlusconi e dei suoi alla tragedia di Nassiriya non sia stata molto più significativa, sul piano politico e ideale, della salivazione dei cani di Pavlov, spero vorrete ammettere tutti che il nostro governo ha fatto, anche in questa drammatica evenienza, una ben trista figura.  Non si era mai visto, credo, che, di fronte alla perdita di tante vite umane, nessuno degli zelatori della politica che ha esposto al pericolo quei nostri concittadini si esonerasse con tanta disinvoltura da ogni riflessione sulle proprie responsabilità.   Al ministro Martino, così, il luogo della tragedia è sembrato un nuovo Ground Zero, come se l’eccidio di un gruppo di civili che, nella loro città, attendevano alle proprie faccende fosse la stessa cosa dell’attacco a un reparto armato che, in terra d’altri, partecipava a un’occupazione militare.  Né la differenza si sana sostenendo che gli aggressori, come ha ipotizzato lo stesso ministro, non siano altro che “barbari che odiano la civiltà”.  Anche quella di liquidare in anticipo i propri nemici come “barbari” è una vecchia consuetudine retorica (risale, per lo meno, alla Canzone all’Italia del Petrarca) che non ha mai portato, nei secoli, nulla di buono.
        Il presupposto di tanta disinvoltura, naturalmente, è quello per cui i “nostri ragazzi”, come li si è voluti, con rara ipocrisia, definire, non partecipavano affatto a un’occupazione o, comunque, a un atto di guerra.  Erano lì, lo si è ripetuto all’infinito, in “missione di pace”.   Il che, naturalmente, non è vero, perché i confini tra la pace e la guerra sono, sì, più sfumati di quanto comunemente si creda, ma una missione armata a fianco dei vincitori in un paese sconfitto resta, inesorabilmente, quello che è e nessuna ottimistica speculazione sui fini ne può nascondere la natura.  Ma è appunto questa natura che si è voluto comunque fraintendere, con tanta pervicacia e – diremmo – con tanta convinzione da far insorgere il sospetto che i nostri governanti si siano intossicati con la loro stessa propaganda, che alla retorica che ci vuole sempre e comunque buoni e disinteressati, la retorica della “brava gente”, della “stessa faccia stessa razza”, dei soldati che dividono il rancio con i bambini e sono amati e rispettati dalle popolazioni cui pure impongono la loro presenza, tutte melensaggini che ci affliggono, come minimo, dai tempi di “Faccetta nera” (o di “Mediterraneo”), abbiano finito loro stessi per credere.  Succede, a volte, ai gruppi dirigenti troppo sicuri di sé: rileggete, se non ci credete, quello che Luciano Canfora, nella sua straordinaria biografia di Cesarei scrive sui discorsi che si facevano al campo di Pompeo alla vigilia di Farsalo.
        Allora, naturalmente, ci pensò Cesare a spazzar via quelle futilità.  Noi, più modestamente, dobbiamo far conto su Prodi, Fassino e D’Alema, che pure non sembrano, per un verso o per l’altro, schierati su posizioni altrettanto antitetiche.  Eppure da loro ci aspetteremmo soltanto una reazione appena un po’ meno automatica di quella con cui il Presidente del Consiglio si è appiattito, come tutta risposta, sulle posizioni di un alleato padrone che, oltretutto, non si è sprecato più che tanto nel manifestare la sua solidarietà.  Che gli dei ce la mandino buona.

16.11.’03