Venerdì 16 febbraio. Il signore
in fila prima di me al banco della panetteria informa la venditrice che
l’indomani non avrà bisogno della solita fornitura. Questo week
end in montagna c’è un metro di neve e lui va a sciare.
La
distributrice di pagnotte se ne compiace e gli augura buon divertimento.
Peccato però, osserva. Così, domenica si perde il carnevale.
E al cliente che osserva che no, questa domenica (oggi, per me che
parlo e voi che ascoltate) qui a Milano per quella ricorrenza è ancora
presto, spiega che non si riferisce al carnevale ambrosiano, ma a quello
cinese. Sono previste in via Paolo Sarpi luminarie, cortei, attrazioni
e quant’altro.
Figuriamoci,
sbotta il tipo con uno scatto inatteso. Lui dei cinesi non ne può
più e gli basta e avanza starci assieme i giorni feriali. Sono i
padroni del quartiere, ormai, hanno occupato tutti i negozi, ostruiscono
i marciapiedi con i loro furgoni, in giro non si vedono che loro. Se
lo tengano pure il loro carnevale, che lui se ne va, appunto, in montagna.
La
panettiera è un po’ stupita, ma si affretta ad acconsentire, ovviamente
desiderosa di non scontentare un cliente abituale. Tanto più che
il parere di costui è condiviso dalla maggior parte dei cittadini e delle
cittadine presenti. Abitano tutti, come me, qui in zona, ai
margini di quella che, in mancanza di un termine italiano corrente, si
può definire la Chinatown locale, e la presenza dei figli del Sol Levante,
a quanto pare, gli dà abbastanza fastidio. E visto che le autorità
non si decidono a intervenire – stasera c’è un’assemblea in via
Messina e la Moratti ha promesso di esserci, ma volete scommettere che
non si farà vedere (in effetti non si è vista) – l’atteggiamento
generale è quello di chi si sente abbandonato in balia alle altrui vessazioni.
Io
ascolto, reprimendo la tentazione di intervenire (che, dati i rapporti
di forza, non servirebbe a niente) e rifletto che questi miei concittadini
sono veramente un po’ strani. Si lamentano perché i commercianti
cinesi parcheggiano sui marciapiedi o in doppia fila, come se nelle zone
di Milano a popolazione esclusivamente indigena non succedesse nulla del
genere, e non si rendono conto che se il nostro quartiere ha conservato
un minimo di vitalità, se non si è lasciato assorbire da quella specie
di futile deserto metropolitano che caratterizza buona parte della città,
lo deve in gran parte agli immigrati orientali, al loro dinamismo, alla
loro energia imprenditoriale. Sono valori, questi, che ai milanesi
non dovrebbero essere estranei, almeno a giudicare dalle invettive che
abitualmente lanciano contro chi non li condivide, ma non evidentemente
quando i loro portatori hanno gli occhi a mandorla. L’operosità
dei cinesi, in realtà, desta altrettanto fastidio dell’asserita estraneità
all’etica del lavoro dei nomadi, o del supposto edonismo dei latinoamericani,
o della pretesa aggressività ideologica degli islamici, con il risultato
che la grande città ospitale di un tempo si è ormai ridotta a una specie
di paesotto sotto assedio, che confonde la difesa dell’identità con la
paura dell’altro. Eppure i cinesi non sono esattamente una presenza
recente tra di noi, stanno in via Canonica dagli anni ’30 del secolo scorso
e la loro presenza dovrebbe essere ormai pacificamente accettata da tutti.
Dovrebbe, ma non lo è, perché evidentemente quella loro energia suscita
parecchia inquietudine. Diciamolo, un po’ fa paura.
E
poi oggi non è carnevale, né a Pechino né in via Paolo Sarpi. Questa
domenica si festeggia il capodanno lunare, il primo giorno dell’anno
del maiale, anzi, dell’anno d’oro del maiale, secondo una combinazione
astrologica che si presenta soltanto ogni settecentoventi mesi e che la
tradizione confuciana considera particolarmente di buon auspicio. Non
occorre essere un esperto di orientalistica per saperlo, c’è scritto su
tutti i giornali, ma evidentemente la cosa non interessa a nessuno, come
se della buona fortuna cinese il vero ambrosiano non avesse assolutamente
bisogno. Perché a Milano non siamo razzisti, naturalmente, e abbiamo
bisogno del lavoro degli immigrati, figuriamoci, ma a dividere su un piede
di parità le vie e i quartieri con loro non siamo proprio disposti e nulla
ci interessa meno dei loro costumi e delle loro ricorrenze. Pazienza
e buon anno del maiale a tutti.
18.02.’07