Questioni di onore

La caccia | Trasmessa il: 11/02/2003



Immagino, visto che siamo amici, che non vi scandalizzerete troppo se vi confesso di essermi rallegrato, e non poco, dell’assoluzione del senatore Andreotti.  L’ho fatto, innanzi tutto, perché le assoluzioni mi hanno sempre fatto piacere comunque, anche se mi rendo conto che è più facile che sia assolto un uomo conosciuto e potente che uno dei tanti ignoti e sfigati che la nostra magistratura condanna senza remissione ogni giorno, e poi perché mi sembrava che, in una vicenda giudiziaria che aveva già conosciuto, in due precedenti processi, un’assoluzione e una condanna in base agli stessi elementi, non potesse sussistere in alcun modo quella certezza nel merito che io, da ingenuo lettore di libri gialli, continuo a considerare essenziale per condannare chicchessia.  Il principio è stato invocato, a ragione, nel caso di Adriano Sofri e non vedo perché non debba valere per Giulio Andreotti.
        Ma il motivo di fondo per cui voglio dichiararmi grato, per una volta, ai magistrati della cassazione, è che la loro sentenza mi permette, anzi, permette a noi tutti, di reimpostare su un piano finalmente corretto il giudizio su quell’ex presidente del consiglio.  Io, vi assicuro, per pensare di Andreotti quello che penso, non ho mai avuto bisogno di considerarlo un mafioso ad honorem o il mandante per silenzio assenso di un oscuro omicidio politico.  Mi è sempre bastato (e avanzato) il fatto che fosse un protagonista del cinquantennio democristiano, un’era politica, come ricorderete, non proprio esente da colpe.  Che sia stato, tra l’altro, il sottosegretario degli attacchi al “culturame” di sinistra, il ministro degli esteri della NATO, il capo di governo degli anni della strategia della tensione, l’artefice con Craxi di un patto di potere che ha segnato la svendita e la successiva consegna alla destra dell’intero sistema politico italiano.  Che vada considerato, insomma, tra quelli che hanno contribuito con maggiore entusiasmo a inchiodare il coperchio sulla bara della nostra democrazia.
        Quanto al fatto di trovarmi in così cattiva compagnia, di dover condividere, in un certo senso, l’esultanza dei democristiani di ieri e di oggi, le parole di plauso di Pera e quelle che, senza dubbio, pronuncerà Berlusconi non appena sarà tornato dalla Cina, non credo sia il caso di preoccuparsene più che tanto.  È così evidente che tutti costoro parlano a pro di se stessi, che il loro ridicolo garantismo copre la convinzione che l’unico dovere della magistratura sia quello di beneficare gli amici e colpire i nemici (gli amici e i nemici loro, naturalmente) che ci si può permettere di non prenderli, nella fattispecie, in alcuna considerazione.  Se Andreotti, come qualche altro rarissimo democristiano (che so, Scalfaro) avesse cercato di tagliargli la strada, lo avrebbero fatto a pezzi con assoluto entusiasmo.  Le cose, ovviamente, non sono andate così, visto che adesso sono lì tutti a dire che quella assoluzione ha restituito loro l’onore.  Ora, è vero che del proprio onore ciascuno è giudice sovrano e monocratico, ma mi sembra che questi signori, nel considerarselo rimesso a nuovo da una sentenza di quella magistratura che hanno attaccato così spesso, si accontentino, per così dire, di poco.

02.11.’03