Immagino, visto che siamo amici, che
non vi scandalizzerete troppo se vi confesso di essermi rallegrato, e non
poco, dell’assoluzione del senatore Andreotti. L’ho fatto, innanzi
tutto, perché le assoluzioni mi hanno sempre fatto piacere comunque, anche
se mi rendo conto che è più facile che sia assolto un uomo conosciuto e
potente che uno dei tanti ignoti e sfigati che la nostra magistratura condanna
senza remissione ogni giorno, e poi perché mi sembrava che, in una vicenda
giudiziaria che aveva già conosciuto, in due precedenti processi, un’assoluzione
e una condanna in base agli stessi elementi, non potesse sussistere in
alcun modo quella certezza nel merito che io, da ingenuo lettore di libri
gialli, continuo a considerare essenziale per condannare chicchessia. Il
principio è stato invocato, a ragione, nel caso di Adriano Sofri e non
vedo perché non debba valere per Giulio Andreotti.
Ma
il motivo di fondo per cui voglio dichiararmi grato, per una volta, ai
magistrati della cassazione, è che la loro sentenza mi permette, anzi,
permette a noi tutti, di reimpostare su un piano finalmente corretto il
giudizio su quell’ex presidente del consiglio. Io, vi assicuro,
per pensare di Andreotti quello che penso, non ho mai avuto bisogno di
considerarlo un mafioso ad honorem o il mandante per silenzio assenso di
un oscuro omicidio politico. Mi è sempre bastato (e avanzato) il
fatto che fosse un protagonista del cinquantennio democristiano, un’era
politica, come ricorderete, non proprio esente da colpe. Che sia
stato, tra l’altro, il sottosegretario degli attacchi al “culturame”
di sinistra, il ministro degli esteri della NATO, il capo di governo degli
anni della strategia della tensione, l’artefice con Craxi di un patto
di potere che ha segnato la svendita e la successiva consegna alla destra
dell’intero sistema politico italiano. Che vada considerato, insomma,
tra quelli che hanno contribuito con maggiore entusiasmo a inchiodare il
coperchio sulla bara della nostra democrazia.
Quanto
al fatto di trovarmi in così cattiva compagnia, di dover condividere, in
un certo senso, l’esultanza dei democristiani di ieri e di oggi, le parole
di plauso di Pera e quelle che, senza dubbio, pronuncerà Berlusconi non
appena sarà tornato dalla Cina, non credo sia il caso di preoccuparsene
più che tanto. È così evidente che tutti costoro parlano a pro di
se stessi, che il loro ridicolo garantismo copre la convinzione che l’unico
dovere della magistratura sia quello di beneficare gli amici e colpire
i nemici (gli amici e i nemici loro, naturalmente) che ci si può permettere
di non prenderli, nella fattispecie, in alcuna considerazione. Se
Andreotti, come qualche altro rarissimo democristiano (che so, Scalfaro)
avesse cercato di tagliargli la strada, lo avrebbero fatto a pezzi con
assoluto entusiasmo. Le cose, ovviamente, non sono andate così, visto
che adesso sono lì tutti a dire che quella assoluzione ha restituito loro
l’onore. Ora, è vero che del proprio onore ciascuno è giudice sovrano
e monocratico, ma mi sembra che questi signori, nel considerarselo rimesso
a nuovo da una sentenza di quella magistratura che hanno attaccato così
spesso, si accontentino, per così dire, di poco.
02.11.’03