Questi fantasmi

La caccia | Trasmessa il: 05/13/2012


    Questi fantasmi

    Un fantasma si aggira per la penisola, resistendo ostinato ai più vari tentativi di esorcizzarlo. È il fantasma dell'antipolitica: annunciato con clamore dai principali commentatori all'indomani del voto amministrativo, rilanciato in toni preoccupati dai corrispondenti della grande stampa internazionale, dal “Financial Times” al “Washington Post” alla “Frankfurter Allgemeine”, assurto a protagonista assoluto dei dibattiti televisivi, oggetto di accorati anatemi dal parte del Quirinale e degli occupanti di altri sedi nobili della politica, è ormai assurto praticamente al ruolo di protagonista del dibattito ideologico nazionale. Persino il cardinale Bagnasco, che, in teoria, di queste cose non dovrebbe occuparsi, ha espresso l'auspicio che gli italiani riacquistino una piena fiducia nella politica (o qualcosa del genere). È opinione comune che ove questo non succedesse, ne sarebbe pericolosamente aggravata l'intera crisi europea.
    La cosa strana è che, nel concreto, le manifestazioni di antipolitica per cui tanto ci si duole non sono poi così eclatanti. Si riducono, in sostanza, a una calo dell'affluenza alle urne, che, sul campione rappresentato da queste elezioni, si attesta su una media nazionale del 7/8 per cento (di più in Lombardia, di meno nell'Italia meridionale e si capisce abbastanza facilmente perché). All'inizio, parecchi analisti o presunti tali si sono mostrati propensi a mettere sul conto dell'antipolitica anche il successo del movimento ispirato da Grillo, ma poi hanno capito (quasi) tutti che questo significava trasformare in definizione categoriale un giudizio di valore e che non c'erano veri motivi, salvo il desiderio di liberarsi dal problema che rappresentava, per escludere dal concerto politico un'organizzazione che aveva partecipato regolarmente alle elezioni con un suo programma e con suoi candidati, riscuotendo un successo affatto prevedibile, largamente previsto e comunque non tale da sconvolgere gli equilibri politici consolidati. Questo non significa che Grillo e i grillisti siano stati completamente sdoganati, ci vuole ancora un po' di tempo, ma almeno il mondo politico ha capito che non ci si può limitare a dire che sono solo un sintomo della crisi (e quindi – sottinteso – non contano) e che con loro bisognerà decidersi, presto o tardi, a fare i conti.
    Il preteso boom dell'antipolitica, dunque, resta legato al decremento della affluenza al voto. Che è un fatto importante, naturalmente, ma rientra in un trend ben noto da tempo e ha portato comunque il paese a livelli di partecipazione non molto diversi dalla media europea e ben superiori a quelli degli Stati Uniti. Certo, i rapporti di forza tra i partiti sembrano abbastanza radicalmente cambiati, ma il dato, che va comunque verificato a un livello più alto, perché espresso finora solo da un campione, sia pur cospicuo, dell'elettorato, non può certo essere considerato negativo tout court. Per non dire che la decisione di non andare a votare, in sé, non può essere fatta rientrare automaticamente in una generica e deprecabile “antipolitica”, nel senso che non ci si astiene soltanto per indifferenza e lassismo, e non è necessario essere anarchici per capire che nella dialettica ideologica di una società anche il rifiuto ha un suo valore.
    In realtà, si potrebbe persino dire che di un po' di antipolitica gli italiani avrebbero un gran bisogno. Nella loro storia recente hanno dimostrato troppo spesso un eccesso di fiducia nelle proposte che da quella direzione venivano loro. Di fronte alla crisi dell'offerta politica tradizionale, negli anni '90 del secolo scorso, sono stati fin troppo pronti a sperimentare le “novità” che via via si presentavano sul mercato. Hanno dato la loro fiducia, talvolta in nome del nuovo, talaltra in quello della tradizione, alle figure più discutibili che si potessero immaginare, consegnando le chiavi del potere ai peggiori cialtroni. Si sono lasciati governare docilmente da magnati televisivi dalle propensioni satrapiche e dai propugnatori di improbabili secessioni, chiudendo gli occhi – in nome, appunto della politica – di fronte alla loro irrimediabile propensione all'uso privatistico della cosa pubblica. Hanno sopportato più a lungo di quanto si sarebbe sopportato in qualsiasi altro paese, i Trota, le Olgettine, gli pseudo rimborsi elettorali, e la presenza di un ceto politico composto in buona parte de venduti e di riciclati. Non parliamo dell'opposizione, che non ha saputo far altro che affidare le residue prospettive di un ribaltamento agli eredi, bolliti e strabolliti, di tradizioni gloriose ma irrimediabilmente decotte. In questo quadro politico il buon Grillo rischia di passare per un Max Weber o un Savonarola e una riduzione del 7 per cento della partecipazione al voto va considerata una reazione straordinariamente moderata. L'antipolitica sarà una gran brutta cosa, d'accordo, ma altri sono i fantasmi di cui avere veramente paura.