Non so se se la cosa possa interessarvi,
ma sono stufo. Sono stufo, ogni volta che, per un motivo o per l’altro,
riesplode la sanguinosa polveriera del Medio Oriente, di leggere sulla
stampa italiana le solite insulse polemiche su chi sta con gli arabi e
chi con gli ebrei. Sono stufo di leggere intere pagine, per esempio
sul “Corriere della Sera” dell’altro ieri, sulla “tentazione filo-araba
della sinistra”, con l’ennesimo intervento in merito dell’onorevole
Furio Colombo o di chi per lui. Sono stufo, in altre parole, della
nemmeno troppo implicita accusa di antisemitismo sempre pronta a scattare
contro chiunque abbia qualcosa da ridire sulla politica dello Stato di
Israele. Perché il punto, naturalmente, è questo. Per quel
che mi riguarda, io, che non rappresento certo l’intera sinistra, ma che
mi ostino a riconoscermi – nonostante tutto – nei suoi valori, non sono
mai riuscito a trovare un solo motivo per cui dovrei, in generale, preferire
gli arabi agli ebrei, ma potrei elencarvene parecchi per cui non mi sento
di approvare la politica di Israele. La contrapposizione, come la
vedo io, non è tra arabi ed ebrei, ma tra palestinesi e israeliani – o,
meglio, tra palestinesi e governo di Israele – e da questa posizione,
ve l’assicuro, non intendo lasciarmi smuovere da nessuno, nemmeno dal
nuovo rampantissimo direttore della nuova “Unità”. Il fatto che
un certo numero di palestinesi abbiano commesso la loro parte di errori
e di atrocità, non mi sembra sufficiente a farmi cambiare opinione. Perché
gli stessi giornali che ospitano e organizzano queste polemiche, poi, non
possono fare a meno di impiegare espressioni come “territori occupati”
e “coloni”, e dove sono in corso occupazioni e colonizzazioni, che volete
che vi dica, io sto con gli occupati e i colonizzati. Il che, permettetemi
di insistere, non significa affatto mancare di rispetto alle vittime della
Shoah, sulla quale noi europei, e noi italiani più di altri, abbiamo delle
responsabilità che non è possibile esorcizzare scaricandole sui palestinesi
o su chiunque altro.
Qualche
giorno fa, un lettore del “Manifesto”, intervenendo nel dibattito che
anche su quelle pagine ferve sull’argomento, ha avuto l’idea di citare
la terza novella della prima giornata del Decamerone . La conoscerete
certamente anche voi: è quella in cui si racconta, per bocca della Filomena,
di come il Saladino cerchi di compromettere ideologicamente un suo suddito
ebreo, il ricco Melchisedech, proponendogli l’insidiosa domanda su quale
tra le tre religioni monoteistiche vada considerata la migliore, e di come
Melchisedech, che scemo non era, se la cavi raccontando a sua volta la
storia del padre amorevole che, dopo aver promesso a ciascuno dei suoi
tre figli l’anello simbolo della primogenitura non sa decidere chi preferire,
per cui ne fa fare due copie identiche e lascia ai figli un anello a testa,
così che tutti e tre saranno convinti di aver ricevuto quello autentico,
ma “chi se l’abbia … ancora ne pende la quistione”, una conclusione
che, naturalmente, vale anche per “le tre leggi date alli tre popoli da
Dio padre”. Una bella storia, molto diffusa anche prima che la riprendesse
il Boccaccio, e un bell’esempio di come anche allora non mancassero gli
spiriti illuminati che facevano professione di tolleranza. Ma, naturalmente,
una storia che non ci interessa in questa sede, perché noi non crediamo
che il problema sia quello della superiorità, soggettiva o oggettiva, di
una delle parti sull’altra, ma quello di trovare un modo per farle
convivere tutte in pace e democrazia, il che – sospetto – non avrà luogo
finché tutti gli interessati non metteranno il loro essere arabi, o essere
ebrei, o essere qualsiasi altra cosa, in secondo piano rispetto alla comune
umanità.
A
me, vi dirò, più che la storia dei tre anelli è sempre sembrata interessante
la novella cornice, quella di Melchisedech e del Saladino. Perché
anche il Saladino è tollerante e non ha niente contro gli ebrei in quanto
tali, tanto è vero che, alla fine, fa di Melchisedech un amico “e in grande
e onorevole stato appresso sé il mantenne”, ma cerca di fregarlo lo stesso
perché ”per alcuno accidente sopravvenutogli” gli bisogna “una buona
quantità di denari”, e allora, non volendo passare per un volgare estortore,
decide di “fargli una forza di alcuna ragion colorata”, onde la domanda
compromettente. Come a dire che il soldano di Egitto si serve di
una motivazione ideologica per giustificare una prevaricazione economica,
il che – mi sembra – è quanto regolarmente succede ogni volta che si
pone un problema ideologico del genere. Lo so, non è di moda, è un’affermazione
che sa molto di marxismo volgare (o di marxismo tout court, che per certa
gente è peggio), ma se non ci decideremo ad ammettere che i nazionalismi,
i razzismi, gli integralismi religiosi e tutti gli ismi del genere sono
stati inventati per nascondere dei concreti problemi di potere e di quattrini,
di quel che succede in Palestina credo proprio che non capiremo mai niente.
22.10.’00