Quando si è troppo furbi

La caccia | Trasmessa il: 12/16/2007


    Non sono, Dio ne scampi, un esperto di sistemi elettorali. Riesco a distinguere, applicandomi un po', il proporzionale dal maggioritario, ma come funzioni il sistema tedesco e quali siano le virtù recondite di quello spagnolo è cosa che, nei particolari, mi sfugge. Ho il vago sospetto, naturalmente, che se quei due sistemi funzionano, funzionano soprattutto a casa loro, in Germania e in Spagna, due paesi organizzati, a differenza del nostro, in una solida struttura di tipo federale, per cui la prospettiva di importarli da noi, magari mescolati, sia in un certo senso illusoria, ma forse mi sbaglio. In Italia, notoriamente, si riesce a fare di tutto e abbiamo assistito, negli anni, a mescolanze ancora più strane.
    Persino io, tuttavia, riesco a capire che, stando agli esiti politici, le ipotesi sono soltanto due. O si opta per un bel maggioritario con il premio di coalizione, che esalta il valore dei partiti piccoli e minimi, i cui pochi voti possono non bastare a eleggere un deputato, ma sono maledettamente utili per far scattare il quorum, o si sceglie il proporzionale, magari con lo sbarramento, per togliersi i piccoli dalle croste e attribuire ai grandi i seggi che a quelli non verranno attribuiti. Il proporzionale, poi, ha l'indiscutibile vantaggio di dare autonomia al centro, permettendo alla sinistra di non farsi impigliare in dolorosi raggruppamenti e di tornarsene giubilante all'opposizione, dove potrà finalmente dedicare le proprie energie a organizzare proteste, concentrazioni e cortei, senza perdere tempo nel tentativo di contribuire a governare il paese, che è cosa difficile, faticosa ed elettoralmente poco remunerativa. Con un centro fisso al governo, una destra pronta a far da riserva e una sinistra felicemente autoesclusa da ogni prospettiva politica seria, potremmo ritornare ai tempi felici della prima repubblica e della Democrazia Cristiana.
    A questa felice soluzione, che soddisfarebbe praticamente tutti, salvo forse l'onorevole Diliberto – ma, tanto, chi si cura di lui? – non ci è dato, purtroppo, arrivare. Il sistema si sta dimostrando incapace di qualsiasi, pur ragionevole, autoriforma. È assai improbabile che lo stesso referendum elettorale (quello che Berlusconi e Veltroni stanno aspettando con l'ansia con cui gli agricoltori afflitti dalla siccità aspettano le piogge di primavera) riesca a recidere il nodo, visto che i suoi quesiti, se accettati, ci rifilerebbero un sistema assai simile a quello vigente e destinato, quindi, a non funzionare. E immagino che converrete con me che non per altro motivo a questa situazione di stallo si è giunti, se non per la vecchia tendenza nazionale a voler essere, in questo campo come in altri, un po' troppo furbi.
    Mi spiego. Quando fu deciso, verso il 1994, di sospingere il paese alle spiagge felici del maggioritario con elezione diretta del premier, nessuno si prese il disturbo di predisporre una legislazione in tal senso, emendando quei passi della costituzione che chiaramente prevedono un sistema parlamentare (e quindi, di regola, proporzionale). Si preferì ricorrere a una duplice furbata, generalizzando arbitrariamente le indicazioni di un referendum, fino a dargli un indebito valore non che propositivo, di ratifica, e imponendo di fatto l'elezione diretta del capo del governo mediante il semplice espediente di inserire nelle schede il nome dei candidati come componente grafica del logo delle simboli coalizioni. Il risultato è che adesso ci ritroviamo con un sistema, come si dice, di premierato, perché non c'è dubbio che gli elettori si sono divisi, con rara equanimità, tra Prodi e Berlusconi, che Prodi è arrivato primo e che nessun altro, di conseguenza, ha titoli per governare. Il guaio è che godiamo, al tempo stesso, di una costituzione di tipo parlamentare e di logica proporzionalista, perché non c'è parimenti dubbio che ove la coalizione al governo si sfasci, come nel caso, il capo dello stato non ha il potere di rimandarci tutti alle urne, gravandolo la suprema Carta con l'obbligo di esperire, in questo parlamento, altre possibili maggioranze. In fondo essere capo di una coalizione non è una investitura pubblica e non è scritto da nessuna parte che l'avere il proprio nome iscritto in un simbolo garantisca il diritto a governare per l'intera legislatura. La gente può avere le sue idee in merito, ma si sa che delle idee della gente ai politici interessa fino a un certo punto.
    Il fatto è che nel nostro sistema entrambi i meccanismi sono ciascuno a suo modo legittimati e la legittimità dell'uno impedisce all'altro di funzionare. È quello che tecnicamente si chiama un bel casino e non ho, personalmente, la minima idea di come si potrebbe uscirne. Certo, il fatto che le speranze silenti dei più siano appuntate su un referendum altrettanto improprio di quello con cui si è dato l'avvio a tutto l'ambaradan, perché i referendum non servono – ripeto, non servono – a modificare le leggi esistenti ma solo ad abrogarle e stop, non fa sperare nulla di buono.


    Un poscritto. Oltre che troppo furbi, siamo anche pochissimo spiritosi. Pensate all'uso, ormai invalso, di battezzare qualsiasi proposta di legge elettorale con un diminutivo latino maccheronico in -llum. Era, quando fu lanciata da Giovanni Sartori nel 1994, una battuta di spirito: al noto politologo il nuovo sistema maggioritario con recupero proporzionale elaborato dall'onorevole Mattarella (che era allora, mi sembra, ministro degli interni) non piaceva, per cui si divertì a battezzarlo mattarellum, un gioco di parole in cui un termine pseudodotto abbastanza pomposo rievocava uno strumento d'uso affatto umile e quotidiano, come a sottolineare la contraddittorietà dei due principi su cui la proposta si fondava e a legarla, a suo scorno, al nome di chi l'aveva elaborata. Come spiritosaggine era discreta ed ebbe successo. Ma cosa ci sia di spiritoso nel parlare di porcellum, veltronellum, vassallum o simili, non è proprio dato capire. È solo il risultato di un'altra generalizzazione indebita, basata sul principio (supposto) per cui una trovata felice la si può ripetere mille volte conservando a ogni ripetizione l'originaria felicità. Non è vero, naturalmente, ma Coloro sono troppo seriosi per rendersi conto che una battuta, di norma, funziona una volta sola. Ancora una volta, possiamo sperare soltanto che gli dei ci proteggano.