Qualcosa in più

La caccia | Trasmessa il: 06/01/2008


    Si incontravano in giro una volta, se ricordate, quei negozietti che promettevano, sin nell'insegna, di mettere in vendita “Tutto a mille lire”. Offrivano, naturalmente, solo della paccottiglia e carabattole varie, ma, non saprei dirvi esattamente perché, una offerta così indifferenziata e a un prezzo tanto modico, con la promessa implicita di qualche possibile buon affare, metteva allegria e anche quando, dopo aver acquisito a mille lire, diciamo, un frullauova di plastica, scoprivi che il casalinghi lì accanto lo aveva in vetrina a ottocento non ti arrabbiavi troppo. Erano cose che potevano capitare, che facevano, in un certo senso, parte del gioco.
    Qualcuno di quei negozi, non tutti, è sopravvissuto al fatale gennaio del 2002, quello che ha proiettato il paese nell'area dell'euro. Sono sopravvissuti, direi, secondo due modalità diverse. Qualche esercente pignolo ha trasformato il messaggio attenendosi al cambio, chiamiamolo così, popolare, quello che vuole che un euro valga 2.000 vecchie lire (sappiamo che sono, in realtà, solo 1936,27), ma i più hanno preferito attenersi al tasso che potremmo chiamare “del bottegaio”, ma che forse meglio potremmo intitolare allo strozzino, quello che parifica senza problemi un euro a mille lire e che ha permesso a una quantità di gente non molto simpatica di arricchirsi mentre la maggioranza delle famiglie imparava a tirare la cinghia. Ci si può così imbattere, oggi, in esercizi commerciali la cui insegna offre “Tutto a 50 centesimi” e in altri che ci promettono, meno parcamente, “Tutto a un euro”. Né gli uni né gli altri, va detto, riescono a replicare il richiamo emotivo e la simpatia dei loro predecessori in lire, ma non è questo il problema.
    Il problema è che deve essere davvero difficile attenersi a quei parametri di prezzo. Di fatto, è da un po' che li si sta subdolamente superando. Sono sempre di più i negozianti che, in caratteri più o meno minuti, hanno aggiunto all'originaria scritta in vetrina “Tutto a un euro” (o “a cinquanta centesimi”) le due paroline “o più”. Tre sillabe apparentemente innocue, che pure distruggono del tutto la logica che sembrano chiamate semplicemente a correggere.
    Perché che senso ha, scusate, dichiarare che la merce in quel magazzino è tutta in vendita a un euro “o più”? La cifra indica un minimo, ma la specificazione lascia libero il massimo. Al cliente non è possibile fare alcuna previsione di spesa. Una volta varcata quella soglia, potrebbe trovare, al limite, un diamante da dieci, venti, trentamila euro o qualsiasi altro bene di consumo ammesso dalle tabelle merceologiche, per quanto alto sia il suo prezzo. Insomma, nel complesso si tratta di un'emerita presa per i fondelli della clientela e le autorità competenti dovrebbero sbrigarsi a prendere qualche severo provvedimento in merito.
    Le autorità, probabilmente, non faranno alcunché. Il problema, lo ammetto anch'io, non è tra i più impellenti. E poi... e poi a quella logica dell' “o più” non sono neanch'esse completamente estranee. Prendete, per esempio, l'attuale governo. Non vi sembra che anche il Grande Bottegaio di Arcore e i suoi fidi oggi promettano quel che promettono appunto per un tot “o” qualcosa di più? Che abbiano vinto le elezioni garantendo ai cittadini un certo numero di benefici, se non proprio a un euro, a modico prezzo e che adesso, a risultato acquisito, stiano alzando un poco alla volta la tariffa richiesta?
    Mi spiego. Sbaglierò, ma ho l'impressione che, questa volta, gli elettori italiani si siano dichiarati disposti, in cambio di alcune cose di cui – a torto o a ragione – sentivano il bisogno (un poco di stabilità, un quid di sicurezza, un rapporto meno vessatorio con l'amministrazione pubblica, qualche ragionevole detassazione e soprattutto una maggiore efficienza degli apparati pubblici, tutte cose che la sinistra si è dimostrata clamorosamente incapace di assicurare) a pagare il prezzo richiesto dagli uomini del Cavaliere: qualche anno di centrodestra moderato, come quello del 2001 – 2006, anche con la prevedibile afflizione rappresentata dai lazzi e dalle gaffes del capo sulla platea interna e internazionale (ma ci si abitua a tutto); qualche nuova legge ad personam, magari, ma in questo settore il più dev'essere già passato; il controllo di Arcore sulla televisione, certo, che tanto non è che la RAI con Prodi sia stata quella gran cosa; una specie di freno ai magistrati, perché no?, che anche loro ogni tanto esagerano, e poco più. Di questo ci avevano preavvertito e questa, in sostanza, era la loro offerta.
    Adesso che siamo entrati nel negozio, ci troviamo alle prese con l' “o più”: il prezzo supplementare che non ci era stato notificato e che non avevamo avuto modo di prevedere. Che è rappresentato, per ora, dall'improvviso sdoganamento dell'estremismo di destra, dalle violenze diffuse, dai raid razzisti, da un inedito pullulare di soggetti che avevamo ragione di ritenere ormai confinati nelle fogne della storia e che qualcuno, per certi suoi ovvi interessi privati, ha ritenuto bene di sguinzagliarci addosso. E, come sempre, non sono soltanto costoro a dare il là della situazione: giocano di sponda, i tristanzuoli, con chi, detenendo il potere, se ne serve per militarizzare, inasprire, minacciare il pugno di ferro, garantire la tolleranza zero e – insomma – fare del proprio meglio per abbassare il livello, già non altissimo, della democrazia partecipata e dei diritti civili nel paese. Così i fascisti fanno i loro raid contro gli immigrati (e non badate a chi sostiene di agire per fini privati: è appunto nella tecnica di privatizzare i problemi pubblici che si annida più facilmente il fascismo), il governo militarizza e persino il Comune di Milano si adegua, utilizzando gli ex vigili urbani e persino i controllori del tram per fare le retate sui mezzi pubblici. Che non è folclore, ma il segno di un ben definito imbarbarimento della società. Tutto questo forse gli italiani non hanno voluto, ma tutto questo adesso gli tocca e chissà se sarà solo per cinque anni. Sarà forse per questo che in questi giorni, in cui sta faticosamente decollando l'estate, si ha l'impressione di essere alle soglie di un lungo inverno.

    01.06.'08