Quadrisillabi intermedi

La caccia | Trasmessa il: 04/08/2001



C’è un leader politico, del quale mi guarderò bene dal rivelarvi il nome, per non correre il rischio di influenzare, sia pure in modo allusivo e surrettizio le vostre libere scelte, che mi guarda dal suo manifesto (no, non è Berlusconi, ma, par condicio  a parte, non possiamo parlare soltanto di lui) e mi chiede se decido io o il Vaticano, invitandomi, in seconda battuta, a liberare il sesso, la scienza, la vita.  Si tratta di un’esortazione impegnativa e, francamente, non saprei dirvi quanto, in vita mia,  abbia saputo fare di persona per adempirvi, ma, rispetto alla domanda, sento di avere la coscienza a posto.   Sull’opportunità di non lasciar guidare le mie scelte dalla gerarchia della Chiesa cattolica avevo le idee chiarissime fin da quando quel leader giocava con le bambole o, com’è più verosimile nel suo caso, con i soldatini.   Per cui faccio un cenno di assenso con il capo, mi compiaccio che qualcuno abbia introdotto, in una campagna elettorale grigia come quella che stiamo vivendo, un elemento forte – perché quanto a forza, lo ammetterete, nel nostro paese il Vaticano non scherza –  e proseguo per la mia strada.
        Poi svolto l’angolo ed ecco, su un manifesto quasi identico a quello di prima, c’è ancora quella faccia lì.  Stavolta mi chiede perentoriamente se a decidere sono io o il sindacato.  Il problema, nel caso, è quello di liberare il lavoro, l’impresa e, naturalmente, la vita.   Lì per lì,  la mia reazione è più o meno la stessa: forse non saprei come fare a liberare il lavoro e l’impresa, per non dire della vita, ma quanto alla necessità di decidere, sempre e comunque, per conto mio, non posso che essere d’accordo.  Con il sindacato, a dire il vero, ho trescato più che con il Vaticano, ma è roba di tanto tempo fa.  E me ne vado cercando di non posare lo sguardo sui tanti fotocolor di aspiranti “volti nuovi” della politica che in questi giorni di primavera fioriscono su tutti i cantoni.
        È solo dopo un po’ che comincio a chiedermi cosa ci sia in comune, dopotutto, tra il Vaticano e il sindacato.  Sì, sono due parole di quattro sillabe, che occupano, più o meno, lo stesso spazio, permettendo un’analoga impostazione grafica ai due manifesti, e le due organizzazioni cui i termini si riferiscono esercitano entrambe una certa influenza nella vita del paese, ma, a parte questo, si tratta di strutture, con tutta evidenza, piuttosto diverse.  Diverse per funzione, perché la sfera della vita religiosa nel mondo moderno non ha, dopotutto, un gran che a che fare con quella economica.  Diverse per organizzazione, perché alla piramide gerarchica della chiesa nessun corpo profano può contrapporre un’analoga compattezza.  E diverse – naturalmente – per peso sociale, nel senso che di fronte al Vaticano si prostrano i potenti del mondo (e quanti in Italia aspirano a essere tali), mentre il sindacato, di questi tempi, fanno tutti a gara a chi con maggior entusiasmo lo prende a legnate.  Sì che se l’invito a non lasciar decidere al Vaticano si spiega benissimo e quello di non delegare le proprie decisioni al sindacato ha una sua indubbia logica, l’esortazione a opporsi a tutti e due può suscitare, come dire, qualche perplessità interpretativa.  È come se fosse, se posso permettermi il termine, una proposizione vagamente sbilenca.
        Mi direte che queste sono sofisticherie.  Entrambi, Vaticano e sindacato, sono, in un certo senso, e parlando con tutto il rispetto dovuto, degli enti intermedi.   La Chiesa è un’organizzazione collettiva che si interpone tra l’individuo e una Realtà superiore con cui, a suo avviso, l’individuo non è in grado di rapportarsi cn le sue sole forze.  Si propone, per così dire, di gestire i rapporti dell’individuo, più o meno consenziente, con il Divino.  E il sindacato, naturalmente, intende rappresentare i lavoratori di fronte al padronato, che, pur avendo uno statuto esistenziale meno problematico di quello del Padre Eterno, è pur sempre un’entità alla quale non è conveniente contrapporsi da soli.
        Né Dio né padrone, dunque, come nel vecchio slogan anarchico?  Be’, no.  Né papa né sindacato, piuttosto.  In questa doppia negazione, non ci vuol molto a capirlo, i padroni non c’entrano.  D’altronde non è il caso di stupirsene: a negare i padroni, in questa campagna, finora non ci ha provato proprio nessuno.

C. Oliva, 08.04.’01