Non se seguito polemica che opposto,
in 3ª pag. Corsera, scrittore di certo peso come Giovanni Mariotti e Guido
Paduano, filologo di vaglia e recente tradutt. di Iliade Hom. A Mariotti,
che prende in consideraz. incipit di poema (xché, sarà caso, ma qs. discuss.,
come qle di tesi di laurea, habent spiccata predilez. x prime pagg. di
testi in oggetto) non piace come Paduano tradotto epiteti con cui originale
caratterizzava protagonisti celebre lite. Agamennone, ánax andrôn,
come a dire “signore di uomini” non dovrebbe diventare “capo di eserciti”,
e Achille, che semplicem. dîos (“divino”), divino dovrebbe restare, e
non ridursi a semplice “nobile”, come traduce Paduano. Qs. x non
perdere, in italiano, opposiz. che Hom. (se lecito ipotizzare Hom.) avrebbe
voluto instaurare tra sfera puramente umana di Ag. (“signore di
uomini” appunto) e qla di Ach., che figlio di dea e appartiene qndi a
ambito in certo senso superiore. X concludere che “non sempre traduz.
può essere rigorosam. fedele, ma deve esserlo ogni volta che può”. Paduano,
seccatiss., risponde che testo, con ánax andrôn, designa capo di “comunità
militare organizzata”, x cui “capo di eserciti” va beniss. e che, soprattutto,
dîos in quei poemi usato con tanta liberalità e attribuito a tante di qle
persone, porcari compresi, che proprio “divino” non vuole + dire. Dopodiché
perde 1 po’ staffe e accusa incolpev. Mariotti di indebita sacralizzaz.
di mondo classico, di vizio idealista di voler vedere dovunque “riverberi
di altro universo”, che, x autore che in sua opera narrativa dedicasi
soprattutto a operaz. inversa, i.e. a desacralizzaz. di testi sacri tradizionali,
est 1 po’ insulto sanguinoso. Ma qs. non c’entra.
Non vorrei metter becco in dibattito
di livello così alto, anche xché appartengo a generaz. che Hom. in it.
costretta leggerselo in endecasill. Monti, x cui 2 litiganti x me
restano indelebilm. “il re de’ prodi Atride e il divo Achille”. Sopratt.,
sospetto che buona parte probl. Paduano nati da fatto che, essendo comparse
ultimi 2 o 3 anni, x ness1 altra ragione che qla editoriale, non
- di 5 nuove traduz. omeriche, certo sforzo x differenziarsi da colleghi
doveva farlo comnque. In ogni caso, su piano filologico, sue osservaz.
ineccepib. Mariotti risponderà che chi definisce G. Garbo “divina”
non intende affatto sacralizzarla, ma postula cmnque sua appartenenza a
sfera superiore, ma a qs punto dibattito finisce in campo di opinab. e
tanto vale smetterla lì.
Fatto est che tutti 2, come succede
spesso, qlche ragione hannocela, ma habent anche loro torti. Xché
invito a ricorrere, qndo puotesi, a traduz. letterale est sensatiss., ma
non tiene conto di fatto che tra 2 lingue non esiste mai qla perfetta biunivocità
di vocabolario e struttura che renderebbe traduz. operaz. puram. meccanica
(altrim. lingue, sospetto fortem., non sarebbero + 2). E volontà
opposta di cercare valore semantico di termini da tradurre in globalità
di opera in cui operano (x cui Agam. est “capo di eserciti” non
xché ánax andrôn designi di regola capi militari, ma xché in tutta Iliade
lui descritto come tale) rischia 1 po’, anche se forse non in qs. caso,
di far dire a testo + di qlo che dice.
E poi, sopratt., hay equivoco che forse
varrebbe pena di chiarire. Qndo diciamo, e. g., che in gr. tal parola
vuol dire qs. e non qlo (che so, che dîos vuol dire “divino” e non “nobile”)
ricorriamo a volgariss., sia pur necessaria, semplificaz. Xché greco,
naturalm., non esiste: esiste qntità di testi che tramandano eco di certe
operaz. di individui parlanti, operaz. che, x vari motivi, noi deciso attribuire
a comune lingua “greca” (che, pure, nulla impedirebbeci, se in caso,
di scomporre in altre realtà, come vari dialetti storici di gr. letterario,
o di ascrivere a entità superiori che comprendanola). Tra altro,
facies linguistica di poemi omerici tanto incasinata che studiosi, tagliando
testa at toro, deciso attribuirla a uno speciale dialetto, dialetto omerico,
appunto, che non est soluz. seriss. Ma lasciamo pur perdere: fatto
est che parlanti, tutti parlanti, non prendono parole così come sono da
vocabolario e tramandano immutate a loro discendenti. Di solito,
con gran dolore di puristi, riservanosi massima libertà trasformarle, cambiargli
significato, spostarle da ambito at altro, farne oggetto di metaforizzaz.
e categorizzaz. sempre nuove, a seconda necessità. Achille era divino,
sì, xché figlio di dea, ma in Iliade diffic. trovare qc1 che non vanti
parentele divine (anche Agamennone, credo), x cui termine o vuol dire qc.
d’altro o est talm. poco caraterizz. da perdere qsiasi significato (che
est qnto intende qndo dicesi che est “termine formulare”). Ql qc.
d’altro, d’altr., espresso da parola che, indicando ab origine proprio
“divino”, non si può laicizzare at 100%, che residuo divinità trascinaselo
sempre dietro (infatti definiz. Eumeo come “divino porcaro” colpito sempre
lettori, ant. e mod., come incongrua e fatto scorrere fiumi inch. x giustificarla).
Traduttore dovrebbe essere in grado di indicare contemporaneam. qlo
che lettore (anzi, ascoltatore) originario capiva senza sforzo, i.e. “prima”
e “dopo” di termine, capace esprimere et tempo st. negare sua origine
e successiva trasformaz. Parole non solo habent storia, ma loro
dinamica che riflette dinamismo di operaz. mentali che incessantem. produconole.
Rischio di chi non rendenesene conto est qlo di finire prigioniero
di parole st. che usa, che est 1 modo come altro perdere brandello di propria
libertà.
Insomma, vita da bestia, qla di traduttore.
15.02.’98