Problemi di traduzione

La caccia | Trasmessa il: 02/15/1998



Non se seguito polemica che opposto, in 3ª pag. Corsera, scrittore di certo peso come Giovanni Mariotti e Guido Paduano, filologo di vaglia e recente tradutt. di Iliade Hom.  A Mariotti, che prende in consideraz. incipit di poema (xché, sarà caso, ma qs. discuss., come qle di tesi di laurea, habent spiccata predilez. x prime pagg. di testi in oggetto) non piace come Paduano tradotto epiteti con cui originale caratterizzava protagonisti celebre lite.  Agamennone, ánax andrôn, come a dire “signore di uomini” non dovrebbe diventare “capo di eserciti”, e Achille, che semplicem. dîos (“divino”), divino dovrebbe restare, e non ridursi a semplice “nobile”, come traduce Paduano.  Qs. x non perdere, in italiano, opposiz. che Hom. (se lecito ipotizzare Hom.) avrebbe voluto instaurare tra sfera puramente umana di  Ag. (“signore di uomini” appunto) e qla di Ach., che figlio di dea e appartiene qndi a ambito in certo senso superiore.  X concludere che “non sempre traduz. può essere rigorosam. fedele, ma deve esserlo ogni volta che può”.  Paduano, seccatiss., risponde che testo, con ánax andrôn, designa capo di “comunità militare organizzata”, x cui “capo di eserciti” va beniss. e che, soprattutto, dîos in quei poemi usato con tanta liberalità e attribuito a tante di qle persone, porcari compresi, che proprio “divino” non vuole + dire.  Dopodiché perde 1 po’ staffe e accusa incolpev. Mariotti di indebita sacralizzaz. di mondo classico, di vizio idealista di voler vedere dovunque “riverberi di altro universo”, che, x autore che in sua opera narrativa dedicasi soprattutto a operaz. inversa, i.e. a desacralizzaz. di testi sacri tradizionali, est 1 po’ insulto sanguinoso.  Ma qs. non c’entra.

Non vorrei metter becco in dibattito di livello così alto, anche xché appartengo a generaz. che Hom. in it. costretta leggerselo in endecasill.  Monti, x cui 2 litiganti x me restano indelebilm. “il re de’ prodi Atride e il divo Achille”.  Sopratt., sospetto che buona parte probl. Paduano nati da fatto che, essendo comparse ultimi 2 o 3 anni, x ness1 altra ragione che qla editoriale,  non - di 5 nuove traduz. omeriche, certo sforzo x differenziarsi da colleghi doveva farlo comnque. In ogni caso, su piano filologico, sue osservaz. ineccepib.  Mariotti risponderà che chi definisce G. Garbo “divina” non intende affatto sacralizzarla, ma postula cmnque sua appartenenza a sfera superiore, ma a qs punto dibattito finisce in campo di opinab. e tanto vale smetterla lì.

Fatto est che tutti 2, come succede spesso, qlche ragione hannocela, ma habent anche loro torti.  Xché invito a ricorrere, qndo puotesi, a traduz. letterale est sensatiss., ma non tiene conto di fatto che tra 2 lingue non esiste mai qla perfetta biunivocità di vocabolario e struttura che renderebbe traduz. operaz. puram. meccanica (altrim. lingue, sospetto fortem., non sarebbero + 2).  E volontà opposta di cercare valore semantico di termini da tradurre in globalità di opera  in cui operano (x cui Agam. est “capo di eserciti” non xché ánax andrôn designi di regola capi militari, ma xché in tutta Iliade lui descritto come tale) rischia 1 po’, anche se forse non in qs. caso, di far dire a testo + di qlo che dice.

E poi, sopratt., hay equivoco che forse varrebbe pena di chiarire.  Qndo diciamo, e. g., che in gr. tal parola vuol dire qs. e non qlo (che so, che dîos vuol dire “divino” e non “nobile”) ricorriamo a volgariss., sia pur necessaria, semplificaz.  Xché greco, naturalm., non esiste: esiste qntità di testi che tramandano eco di certe operaz. di individui parlanti, operaz. che, x vari motivi, noi deciso attribuire a comune lingua “greca” (che, pure, nulla impedirebbeci, se in caso, di scomporre in altre realtà, come vari dialetti storici di gr. letterario, o di ascrivere a entità superiori che comprendanola).  Tra altro, facies linguistica di poemi omerici tanto incasinata che studiosi, tagliando testa at toro, deciso attribuirla a uno speciale dialetto, dialetto omerico, appunto, che non est soluz. seriss.  Ma lasciamo pur perdere: fatto est che parlanti, tutti parlanti, non prendono parole così come sono da vocabolario e tramandano immutate a loro discendenti.  Di solito, con gran dolore di puristi, riservanosi massima libertà trasformarle, cambiargli significato, spostarle da ambito at altro, farne oggetto di metaforizzaz. e categorizzaz. sempre nuove, a seconda necessità.  Achille era divino, sì, xché figlio di dea, ma in Iliade diffic. trovare qc1 che non vanti parentele divine (anche Agamennone, credo), x cui termine o vuol dire qc. d’altro o est talm. poco caraterizz. da perdere qsiasi significato (che est qnto intende qndo dicesi che est “termine formulare”).  Ql qc. d’altro, d’altr., espresso da parola che, indicando ab origine proprio “divino”, non si può laicizzare at 100%, che residuo divinità trascinaselo sempre dietro (infatti definiz. Eumeo come “divino porcaro” colpito sempre lettori, ant. e mod., come incongrua e fatto scorrere fiumi inch. x giustificarla).  Traduttore dovrebbe essere in grado di indicare contemporaneam. qlo che lettore (anzi, ascoltatore) originario capiva senza sforzo, i.e. “prima” e “dopo” di termine, capace esprimere et tempo st. negare sua origine e successiva trasformaz.   Parole non solo habent storia, ma loro dinamica che riflette dinamismo di operaz. mentali che incessantem. produconole.  Rischio di chi non rendenesene conto est qlo di finire prigioniero di parole st. che usa, che est 1 modo come altro perdere brandello di propria libertà.

Insomma, vita da bestia, qla di traduttore.
15.02.’98