Problemi di scrivania

La caccia | Trasmessa il: 12/11/2011


    Problemi di scrivania

    Normalmente, quando si parla del conferimento a qualcuno della dignità ministeriale, o di un'altra posizione di potere, si usa il termine “poltrona”. Non si tiene conto del fatto che la poltrona, in questo contesto, è soltanto un elemento del set di mobilia messo a disposizione del nuovo titolare e forse nemmeno il più importante. In effetti, quale che sarà la soddisfazione che costui proverà nell'adagiare le terga sui velluti o i cuoiami di cui la comunità lo ha riconosciuto degno, dal punto di vista funzionale avrà molta più importanza, per lui e per gli altri, la scrivania sulla quale firmare le carte e i decreti attraverso cui si esercita il ruolo di personaggi siffatti. Nell'immaginario del governo italiano non hanno spazio poltrone particolari, ma di qualche scrivania, come quella al Ministero delle Finanze cui sedeva Quintino Sella nell'atto di promulgare la tassa sul macinato e gli altri terrificanti provvedimenti per cui è passato alla storia, si è a lungo favoleggiato. E Silvio Berlusconi, quando nel 2001 andò da Bruno Vespa per farsi insignire del ruolo provvidenziale che reclamava, non chiese una poltrona, ma pretese che fosse portata in scena una scrivania, quella sulla quale firmò, sotto gli occhi ammirati della nazione, il suo indimenticato “contratto con gli italiani”.
    Sarà per questo, suppongo, che Enzo Moavero, nuovo Ministro per gli Affari Europei, nel prendere possesso dell'ufficio destinatogli a Palazzo Chigi, ha preteso che ne venisse allontanata e spostata in altra sede la scrivania che vi troneggiava e che, a quanto sembra, era appartenuta a Mussolini, che se ne era servito per tutta la sua carriera, un particolare che non poteva non recare disturbo a un antifascista dichiarato. Il quale, in seguito, dopo le polemiche suscitate dal suo gesto, ha detto di aver agito esclusivamente per motivi di spazio, ma senza convincere veramente nessuno, visto che un ufficio senza scrivania non ha senso e non si capisce perché, una volta esclusa la motivazione ideologica, non si sarebbe potuto conservare quella che c'era.
    Il caso, d'altronde, non è unico. Di carattere analogo, sia pure con segno ideologico opposto, è la vicenda della scrivania di Togliatti al Ministero di Grazia e Giustizia, di cui il Migliore, come lo chiamavano i suoi più fidi, si servì durante la sua esperienza di Guardasigilli dal 1945 al '46. L'oggetto non si trova più al posto d'onore nell'ufficio ministeriale perché nel 2001 il Ministro in carica, on. Oliviero Diliberto, nell'atto di lasciare il mandato, lo fece nascondere, paventando evidentemente che qualche successore anticomunista non manifestasse il dovuto rispetto per il prezioso cimelio, ma ne facesse magari legna da ardere o peggio. Diliberto, che oltre che il fine politico che conosciamo, è anche un raffinato bibliofilo e un esperto conoscitore di gialli, si è ispirato evidentemente alla Lettera rubata del Poe e non ha fatto trasportare il mobile in cantina, in soffitta o in un magazzino segreto, dove sarebbe stato facile rintracciarlo, ma l'ha semplicemente spostato in un altro ufficio, dove, scrivania fra le scrivanie, resterà indisturbato fino a che in quelle mure si amministrerà la giustizia. La scrivania di Togliatti, dunque, come quella di Mussolini, si trova ancora in una sede governativa, ma nessuno sa esattamente dove, in modo che non possa esercitare sui fruitori alcuna sinistra influenza. Sono due casi lampanti, se mai ve ne furono, della dialettica tra continuità istituzionale e innovazione politica nell'amministrazione della cosa pubblica.
    La politica italiana, d'altronde, è quello che è. Nel paese del trasformismo di solito i ministri passano, ma le logiche di governo restano, a essere mazzolati o beneficati sono sempre gli stessi e non sarà certo cambiando una scrivania che si segnerà una discontinuità cui, a modo loro e al loro tempo, non si sono sottratti né Togliatti né Mussolini.
    La nipote del quale, infine, nel rampognare aspramente il ministro Moavero lo ha invitato a cercarsi, in futuro, le sue scrivanie alla Ikea. Voleva probabilmente esprimere una qualche forma di sarcasmo, ma forse, per una volta, ci ha involontariamente azzeccato. Il giorno in cui i governanti si approvvigioneranno, come tutti, in quella sede, forse le cose cominceranno a cambiare.

    11.12.'11