Da questa settimana, lo saprete anche voi, siamo in “par condicio”. Significa
che, a norma della legge 22 febbraio 2000, n. 28 e del relativo regolamento
di attuazione, emanato lo scorso 23 marzo dalla Autorità per le Garanzie
nelle Comunicazioni (delibera n. 253, 01, CSP), nelle trasmissioni “diverse
da quelle di comunicazione politica … è vietato fornire, anche in forma
indiretta, indicazioni e preferenze di voto.” E che non si può dare
la parola a “candidati, membri del governo, membri di giunte e consigli,
esponenti di partiti e movimenti” e simili, che potranno essere sentiti
solo nelle trasmissioni di informazione e solo per motivi di stretta attualità.
I due divieti, soprattutto se non si ignora
perché sono stati introdotti, possono apparire discutibili, ma ragionevoli,
anche se complicano terribilmente la vita a chiunque voglia fare dell’onesta
informazione politica e rappresentano, in ultima analisi, una patente violazione
della libertà di espressione e di parola. Molto meno ragionevole,
naturalmente, è la norma, contenuta nell’articolo 14 del regolamento,
per cui conduttori e ospiti delle trasmissioni devono badare a non “influenzare,
anche in modo surrettizio ed allusivo, le libere scelte degli elettori”.
Le allusioni sono, per definizione, delle proposizione non esplicite
e per poterle vietare bisogna arrogarsi il diritto di esplicitarle, di
decidere – cioè – se una certa affermazione si riferisce a qualcosa d’altro
da quello cui sembra a prima vista riferirsi, che è impresa meno facile
(e più arbitraria) di quanto sembra. Se io rivelo, documenti alla
mano, che il tal candidato ha commesso la tal azione disdicevole, la mia
rivelazione dovrà essere considerato un invito allusivo (o surrettizio)
a non votarlo? E lasciamo pure perdere il surrettizio, perché l’aggettivo,
si riferisce, vocabolario alla mano, a “ciò che si ottiene tacendo intenzionalmente
qualche circostanza essenziale” (come a dire un beneficio ottenuto grazie
a una menzogna) e quindi in questo contesto non c’entra nulla, ma nessuno
potrà impedire a chi lo voglia di leggervi, se lo desidera, un’allusione.
E siccome il ragionamento vale anche quando di un candidato, o della
sua parte, si elencano meriti o virtù, se ne dovrebbe trarre la conclusione
che, per essere davvero sicuri di non violare la legge, in periodo elettorale
di partiti e di candidati non si dovrebbe mai dire nulla, né in bene né
in male, il che, ne converrete, fa intravedere una concezione piuttosto
strana della democrazia e della libertà di informazione.
A noi della “Caccia”, naturalmente, tutto
questo interessa fino a un certo punto, perché non è nostro costume dire
a nessuno se deve votare e per chi, e la nostra trasmissione, d’altronde,
non prevede la partecipazione di candidati, membri del governo, delle giunte,
dei consigli, dei partiti e dei movimenti. Il nostro lavoro, se mai,
è quello di mettere in evidenza quanto di ideologicamente occulto si trova
nelle comunicazioni di costoro e di chiunque altro e in questo, come ben
sapete, non c’è proprio nessun tentativo di influenzare allusivamente
le libere scelte di chicchessia. Anche perché è del tutto ovvio che
se una scelta è libera vuol dire che non si lascia influenzare, mentre
se è soggetta all’influenza altrui libera proprio non è. L’identificare
la libertà di scelta non tanto con la capacità di distinguere e sceverare
tra i giudizi e le informazioni che si ricevono, quanto con la eliminazione
coatta di qualsiasi informazione libera e di giudizio non autorizzato è
tipico di chi crede che per fare uguali le parti tra i disuguali basta
negare la libertà di parola.
C. Oliva, 01.04.’01