Problemi di parità

La caccia | Trasmessa il: 04/01/2001




Da questa settimana, lo saprete anche voi, siamo in “par condicio”.  Significa che, a norma della legge 22 febbraio 2000, n. 28 e del relativo regolamento di attuazione, emanato lo scorso 23 marzo dalla Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (delibera n. 253, 01, CSP), nelle trasmissioni “diverse da quelle di comunicazione politica … è vietato fornire, anche in forma indiretta, indicazioni e preferenze di voto.”  E che non si può dare la parola  a “candidati, membri del governo, membri di giunte e consigli, esponenti di partiti e movimenti” e simili, che potranno essere sentiti solo nelle trasmissioni di informazione e solo per motivi di stretta attualità.

       I due divieti, soprattutto se non si ignora perché sono stati introdotti, possono apparire discutibili, ma ragionevoli, anche se complicano terribilmente la vita a chiunque voglia fare dell’onesta informazione politica e rappresentano, in ultima analisi, una patente violazione della libertà di espressione e di parola.  Molto meno ragionevole, naturalmente, è la norma, contenuta nell’articolo 14 del regolamento, per cui conduttori e ospiti delle trasmissioni devono badare a non “influenzare, anche in modo surrettizio ed allusivo, le libere scelte degli elettori”.   Le allusioni sono, per definizione, delle proposizione non esplicite e per poterle vietare bisogna arrogarsi il diritto di esplicitarle, di decidere – cioè – se una certa affermazione si riferisce a qualcosa d’altro da quello cui sembra a prima vista riferirsi, che è impresa meno facile (e più arbitraria) di quanto sembra.  Se io rivelo, documenti alla mano, che il tal candidato ha commesso la tal azione disdicevole, la mia rivelazione dovrà essere considerato un invito allusivo (o surrettizio) a non votarlo?  E lasciamo pure perdere il surrettizio, perché l’aggettivo, si riferisce, vocabolario alla mano, a “ciò che si ottiene tacendo intenzionalmente qualche circostanza essenziale” (come a dire un beneficio ottenuto grazie a una menzogna) e quindi in questo contesto non c’entra nulla, ma nessuno potrà impedire a chi lo voglia di leggervi, se lo desidera, un’allusione.   E siccome il ragionamento vale anche quando di un candidato, o della sua parte, si elencano meriti o virtù, se ne dovrebbe trarre la conclusione che, per essere davvero sicuri di non violare la legge, in periodo elettorale di partiti e di candidati non si dovrebbe mai dire nulla, né in bene né in male, il che, ne converrete, fa intravedere una concezione piuttosto strana della democrazia e della libertà di informazione.

       A noi della “Caccia”, naturalmente, tutto questo interessa fino a un certo punto, perché non è nostro costume dire a nessuno se deve votare e per chi, e la nostra trasmissione, d’altronde, non prevede la partecipazione di candidati, membri del governo, delle giunte, dei consigli, dei partiti e dei movimenti.  Il nostro lavoro, se mai, è quello di mettere in evidenza quanto di ideologicamente occulto si trova nelle comunicazioni di costoro e di chiunque altro e in questo, come ben sapete, non c’è proprio nessun tentativo di influenzare allusivamente le libere scelte di chicchessia.  Anche perché è del tutto ovvio che se una scelta è libera vuol dire che non si lascia influenzare, mentre se è soggetta all’influenza altrui libera proprio non è.  L’identificare la libertà di scelta non tanto con la capacità di distinguere e sceverare tra i giudizi e le informazioni che si ricevono, quanto con la eliminazione coatta di qualsiasi informazione libera e di giudizio non autorizzato è tipico di chi crede che per fare uguali le parti tra i disuguali basta negare la libertà di parola.


C. Oliva, 01.04.’01