Prelievi forzosi

La caccia | Trasmessa il: 05/23/2010


    Quello che segue non è un messaggio promozionale né quello che oggi si definisce un testimonial e non prendetelo, mi raccomando, per tale. Ma si avvicina il momento della dichiarazione dei redditi e certe scelte vanno prese, motivate e, possibilmente, discusse. Io, per esempio, so che anche questa volta finirò con il devolvere il mio otto per mille alla chiesa valdese, anzi, per attenersi alla dizione esatta, alla “Unione delle chiese Metodiste e Valdesi” e la cosa mi secca maledettamente. Lo faccio da anni e sempre con la stessa, insoddisfacente, motivazione: quella struttura rappresenta, tra tutte le organizzazioni che ambiscono a raccogliere questo tipo di obolo, quali figurano sui vari modelli che ci tocca firmare, quella che meno mi spiace. Cercate di capirmi: non desiderando contribuire in alcuna forma al finanziamento della chiesa cattolica e diffidando per più motivi delle capacità e volontà assistenziali dello stato, mi restano, come possibili destinatarie del mio contributo, soltanto le organizzazioni religiose “minori”, usando – s'intende – il termine in senso puramente quantitativo. E tra di esse, quella che meglio mi è nota resta la chiesa valdese, per cui...
    Per cui, vi dicevo, i miei pochi euro andranno ai seguaci di Pietro Valdo e John Wesley. Ma è una scelta, lo ripeto, cui mi piego con grandissima riluttanza. So ben poco dei metodisti, ma non ho nulla contro di loro. Dei valdesi ammiro la lunga storia di resistenza alla repressione e apprezzo la struttura democratica che si sono dati. Negli anni ne ho conosciuto alcuni, pastori o semplici laici, impegnati in attività che mi sono sembrate oltremodo lodevoli. Sono abbastanza sicuro che del mio contributo non faranno, come altri, usi disdicevoli e impropri. Tuttavia... tuttavia resta il fatto che la loro non è la mia chiesa. Non c'è nulla che particolarmente mi attragga nella loro teologia né nella loro predicazione. Pur con tutti i possibili distinguo, non posso nascondermi il fatto che sono, appunto, una chiesa, un tipo di organizzazione che, a torto o a ragione, non considero tra le più congruenti con la mia idea di bene comune. Sarà, il mio, un caso disperato di anticlericalismo ottocentesco, una fissazione ideologica ormai definitivamente preterita, ma all'idea di devolvere parte del mio reddito a una chiesa, fosse anche la migliore di tutte le chiese possibili, resto irrimediabilmente allergico.
    Non si scappa, tuttavia. Come un certo numero di concittadini – che non so quanti siano, ma non devono essere, suppongo, pochissimi – vivo la contraddizione impostami dal Concordato del 1984. Che stabiliva, come ricorderete, che il finanziamento alla chiesa cattolica fosse, per ogni singolo cittadino, facoltativo, ma viene applicato mediante un meccanismo che, di fatto, lo rende obbligatorio. Perché se non devolvi la tua quota a una delle chiese accreditate e non l'assegni esplicitamente allo stato (che sarebbe capace, come credo sia già successo, di servirsene per finanziare la guerra in Afghanistan o per il restauro degli edifici del culto cattolico, che evidentemente non vale) essa sarà spartita proporzionalmente tra gli aventi diritto e per via del “proporzionalmente” (un avverbio in apparenza innocuo, in cui invece sta tutto il trucco) finirà, in gran parte, alla chiesa cattolica. Che infatti oggi raccoglie circa il 35% delle scelte dei contribuenti e incassa più del 90% dei quattrini raccolti. Non so chi abbia inventato questo meccanismo, ma deve trattarsi di un autentico genio dell'inganno e della prevaricazione. Tanto è vero che il prelievo (forzoso) va avanti da quasi trent'anni e nessuno, dopo qualche mugugno iniziale, si prende più la briga di protestare.
    Permettetemi, quest'anno, di farlo io. La prevaricazione è abbastanza indolore, ma di prevaricazione sempre si tratta. Non pretendo, ve lo assicuro, uno sgravio fiscale corrispondente alla cifra che non desidero che vada al Vaticano: le tasse sono tasse e di esse si alimenta il bilancio dello stato, sul quale, tuttavia, mi illudo di avere, come cittadino, una certa facoltà di controllo. Ma che parte dei miei tributi finisca in un fondo speciale gestito a discrezione chissà di chi, o venga attribuita ex officio a una chiesa mi sembra, non che iniquo, intollerabile. Non avrei niente in contrario, ve lo assicuro, all'idea di assegnarli ad altro tipo di organizzazione, tale da non crearmi problemi di coscienza, come una di quelle, per esempio, cui, nella stessa circostanza, è possibile devolvere il cinque per mille. Ecco, se quell'otto per mille lo si potesse aggiungere al cinque destinato alle organizzazioni umanitarie non ecclesiastiche, la questione si potrebbe considerare risolta con dignità. Ma anche questa ipotesi minimale non sembra essere stata presa in considerazione da alcuno. Ed eccoci costretti, noi renitenti, a delle soluzioni pasticciate e improprie, che finiscono, in un modo o nell'altro, con il ledere la nostra libertà.
    E non dite che non c'è niente di nuovo e in Italia ne succedono anche di peggio. Costrizioni di questo tipo improntano inesorabilmente di sé tutto il sistema delle libertà civili. Perché è anche dai contributi che surrettiziamente le vengono assegnati che quella organizzazione trae la forza per pretendere sempre nuovi privilegi, compreso quello di imporre a tutti per legge le proprie direttive e di esigere, quindi, contributi sempre maggiori. Da questa specie circolo vizioso non siamo mai riusciti a liberarci e, anzi, ogni anno, in questa stagione, siamo chiamati a perpetuarlo in forma certificata. Scusate lo sfogo e proviamo, ogni tanto, a pensarci.

    23.05.'10