Prassi consolidate

La caccia | Trasmessa il: 10/18/2009


    Poniamo il caso che uno accusi un'altissima carica dello Stato – diciamo il Presidente della Repubblica – di aver fatto uso della sua influenza per ottenere da un tribunale una sentenza favorevole a una delle parti in causa. È ben evidente che, a scanso di possibili complicazioni, costui dovrebbe disporre di prove ben forti e documentate, perché un'accusa del genere sarebbe piuttosto grave: cercare di pilotare le sentenze non è solo vietato dalla legge, che tutela l'indipendenza dei magistrati, ma va anche contro i doveri di chi di tale indipendenza è il primo garante. Un Presidente beccato su un fatto del genere non avrebbe altra alternativa che le dimissioni immediate, nella speranza che il Parlamento non ravvisi nel suo agire i termini per una messa in stato d'accusa. Se invece l'accusatore di prove non ne avesse, o non ne presentasse, nulla e nessuno gli impedirebbe, quale che sia la sua posizione, di ritrovarsi nei guai fino al collo.
    Supponiamo invece che qualcun altro – per esempio il Presidente del Consiglio – accusi il Capo dello Stato di aver fatto esattamente il contrario: di non avere, cioè, interposto i suoi buoni uffici, come precedentemente promesso, perché una certa corte si pronunciasse su un controverso testo di legge nel senso gradito al governo. Costui si rivelerebbe non soltanto un po' incauto, ma anche alquanto scemotto, visto che si autoaccuserebbe ipso facto di aver tentato di compiere un grave reato, del quale potrebbe benissimo essere chiamato a rispondere. Sarebbe come se – per intenderci – un aspirante scassinatore denunciasse la guardia giurata di una banca per non avergli consentito, come da accordi precedenti, di accedere ai locali al fine di svuotarne il caveau. Un episodio abbastanza simile è narrato, se non mi sbaglio, in un giallo umoristico di Donald E. Westlake, ma quel grande scrittore era specializzato in storie paradossali. Nella realtà, specie in mancanza di prove relative ai precedenti accordi intercorsi, entrambi gli accusati avrebbero tutto il diritto di mandare il loro accusatore a quel paese e in più di chiedergli i danni. Tutti ne sosterebbero la causa e manifesterebbero loro la propria simpatia.
    Ma se il Presidente della Repubblica fatto oggetto di una simile singolare accusa (quella di aver compiuto, in ultima analisi, il proprio dovere) ribattesse che, lui, figurarsi, di esercitare delle pressioni su un'alta corte non se l'è mai sognato né mai se lo sognerebbe, ma aggiungesse, però, che, in effetti, alla redazione di quella legge controversa aveva in un certo senso contribuito, per il tramite di un suo stretto collaboratore, onde produrre un testo in grado di superare i temuti controlli della magistratura, perché questa, com'è noto, è la “prassi consolidata”, be', in questo caso la nostra simpatia sarebbe forse un poco appannata e non sapremmo bene come reagire. Dovremmo concluderne, per cominciare, che quel collaboratore – e, di riflesso, chi l'aveva scelto – era evidentemente un inetto, visto che il testo prodotto quei controlli, alla fine, non li ha superati. E saremmo autorizzati a supporre che nelle alte sfere dello Stato il concetto di separazione dei poteri, pilastro e fondamento di ogni sistema liberale, è interpretato, con buona pace di Montesquieu, in un modo a dir poco un po' vago, visto che mal gli si attagliano prassi del genere, più o meno consolidate. Per non dire che entrambi i protagonisti della vicenda ci fanno la figura degli ingenui, avendo entrambi troppo presunto di sé e dell'altro, e si rivelano dei gran pasticcioni.

    Oh, sì. Abbiamo parlato, finora, al condizionale perché ipotesi del genere, in un paese normale, non dovrebbero essere neanche ammesse. È vero però che siamo in Italia e che tra tutti gli epiteti che al nostro paese si addicono, quello di “normale” è certamente il meno azzeccato. Per cui, cosa vi devo dire, vedete un po' voi.
18.10.'09


    Nota

    Il giallo di Westlake cui si fa riferimento dovrebbe essere, salvo errore, Good Behavior (E bravo Dortmunder, 1986). Vi si raccontava, per la precisione, di un ricettatore che denunciava il protagonista per non aver commesso il furto con scasso cui si era impegnato.