Perché non andrò a vederlo

La caccia | Trasmessa il: 04/15/2012


    Perché non andrò a vederlo

    Ci ho pensato un po' su e credo proprio che non andrò a vedere il film sulla strage di piazza Fontana. Nessun intento polemico, per carità: ritengo anch'io che la memoria di quei tragici eventi debba essere conservata e diffusa con tutti i mezzi possibili e non credo affatto che l'interpretazione che, a quanto ho letto e sentito, ne dà l'opera di Marco Tullio Giordana sia per qualche verso insostenibile. Certo, sul giudizio che il regista propone su uno dei suoi protagonisti non sono affatto d'accordo e nulla e nessuno mi farà mai cambiare idea sulle responsabilità di quel personaggio e poi, probabilmente, mi farebbe una certa impressione vedere agire sullo schermo, interpretate da pur bravissimi attori, persone che ho conosciuto in carne e ossa e a cui sono stato a suo tempo legato, ma il problema non è questo. Di interpretazioni se ne sono avute tante ed è giusto che regista, attori e sceneggiatori siano liberi di proporre la propria. Quello che proprio non riesco a credere, sinceramente, è che una ricostruzione narrativa, sia pure la migliore e la più accurata possibile, possa restituire l'effetto che i fatti di quel dicembre ebbero su noi che li vivemmo, possa riportare me e miei compagni ai nostri sentimenti e alle nostre impressioni di allora.
    Perché, vedete, quando scoppiarono le bombe, prima ancora che si palesasse la montatura contro gli anarchici, in quei brutti momenti di confusione e paura, capimmo subito che la nostra storia era irrevocabilmente cambiata. Qualcuno aveva gettato sul piatto un nuovo elemento – i morti, appunto – che vanificava di colpo gli sforzi di rinnovamento in cui eravamo impegnati. Le lotte dei giovani, degli studenti, degli operai non si sarebbero fermate lì, naturalmente, quei protagonisti avrebbero scritto ancora molte pagine importanti, il movimento, nonostante tutto, era ancora in piedi, ma la necessità di fronteggiare la ferocia che il nemico aveva messo in campo ne avrebbe inevitabilmente modificato la natura, facendone qualcosa d'altro. Gli anni '60, con le loro follie e le loro illusioni, erano proprio finiti e il futuro sarebbe stato ben diverso da come ce l'eravamo immaginato. Da allora in poi avremmo dovuto fare i conti con le armi, con le bombe, con la paura, con la prospettiva di altri morti e altri delitti. E di altre stragi, naturalmente, ancora più sanguinose e crudeli (piazza della Loggia, l'Italicus, la stazione di Bologna...), ma scaturite tutte dalla stessa terribile logica. Eravamo giunti a un discrimine e il mondo non era più quello di prima.
    Non reagimmo male, credo. Nessuno finora ha scritto la storia di come poche migliaia di militanti, con la sola forza delle loro idee, riuscirono – nella sostanza – a far fallire il disegno eversivo che stava dietro le bombe. Perché furono loro – fummo noi, – prima ancora delle indagini dei magistrati e delle inchieste dei giornalisti, a stracciare il copione che si voleva imporre al paese, rifiutando di cedere alla violenza e affermando a gran voce la consapevolezza incrollabile che la strage era di stato. Su questa affermazione, in effetti, si fonda tutta la storia successiva, non solo la nostra, e abbiamo tutte le ragioni per esserne ancor oggi orgogliosi.
    Di tutto questo non credo che parli il film di Giordana. E forse è meglio così, perché è stato un processo contraddittorio, difficile e faticoso, che personalmente (e non credo di essere il solo) non mi sento né di rivivere né di rimettere in discussione. Per questo, solo per questo, non andrò a vederlo. Ma questo è un problema mio personale – al massimo di generazione – e naturalmente chi la pensa diversamente ci vada pure. Non gli potrà che fare del bene.
15.04.'12