Posso sbagliarmi, ma ho l’impressione
che la (provvisoria?) caduta del governo Prodi non la volesse nessuno tra
i molti che ci hanno messo mano. Non la volevano i due senatori della
sinistra – diciamo così – autoreferenziale, che probabilmente si illudevano
di salvarsi l’anima con l’astensione e di lasciare che alla sopravvivenza
dell’esecutivo provvedessero, more solito, i senatori a vita, e non la
volevano i due senatori a vita che si sono astenuti nell’auspicio
che a salvare la maggioranza avrebbero provveduto, per una volta, i colleghi
dell’ala estrema. Si erano incautamente fidati, gli uni e gli altri,
della preveggenza del ministro D’Alema, certi che mai e poi mai l’astuto
bombardiere avrebbe posto quella specie di questione di fiducia morale
sulla propria relazione senza aver ricevuto le più ampie assicurazioni
di consenso da parte di tutte, ma proprio tutte, le componenti della sua
variegata maggioranza. Poi si è scoperto che l’uomo con i baffi
aveva confuso, una volta di più, i propri desideri con la realtà – gli
capita più spesso di quanto ami far credere – ed è successo quel che è
successo.
L’altra
ipotesi, quella per cui il voto inatteso di Andreotti e Pininfarina sarebbe
stato l’espressione di una congiura dei “poteri forti” (il Vaticano,
naturalmente, essendoci di mezzo Andreotti, ma anche la Confindustria e
il Pentagono, da soli o coalizzati) volta a liquidare a tradimento
un governo rivelatosi pericoloso per i loro interessi, mi sembra, in tutta
franchezza, un po’ troppo bella per essere vera. Troppo bella e
soprattutto troppo lusinghiera per Prodi e i suoi, nel senso che nulla
di così pericoloso pare davvero che fosse nei progetti della defunta compagine,
per non dire che in essa tanto il Vaticano, quanto la Confindustria e il
Pentagono avevano i loro bravi puntelli, sì che per richiamare all’ordine
eventuali riottosi sarebbe bastato, alla fin fine, un semplice schiocco
di dita. E se è vero che un futuro governo Berlusconi potrebbe rivelarsi,
con un po’ di sforzo, ancora più accomodante nei confronti di quei poteri,
non sembra che le differenze che si possono prevedere siano tali da giustificare
lo sforzo di organizzare una congiura e delegarne l’esecuzione a un personaggio
inaffidabile come Andreotti, che chissà poi cosa è capace di volere in
cambio.
Più
probabile, dunque, che il governo sia caduto semplicemente per errore,
come ben si addiceva, d’altronde, a un esecutivo largamente fondato sugli
equivoci e sulle reticenze, che sono figure retoriche complicate, maneggiando
le quali è assai facile sbagliarsi. Perché il problema del centro
sinistra non era tanto quello – di cui si favoleggiava – della contrapposizione
tra riformisti e radicali, visto che a un ben scarso interesse per le riforme
si aggiungeva, in tutte le forze che vi confluivano, una totale mancanza
di radicalità, quanto la necessità di far convivere una sommatoria di modeste
identità e piccoli interessi particolari, in una specie di caleidoscopio
di moderati, sedicenti estremisti, clericali, teodem, tecnici o presunti
tali, finanzieri di stretta osservanza e altri ancora, in un coacervo di
gruppi che cercavano di imporsi reciprocamente un punto di vista qualsiasi
in nome della comune mancanza di alternative. In questo, va detto,
i senatori Turigliatti e Rossi, che gli dei li perdonino, non si
sono comportati in modo molto diverso dei vari Rutelli, Mastella o Parisi
e il grido “qui si fa come voglio io o si va tutti a casa” non l’ha
lanciato il solo D’Alema. E il fatto che l’unica soluzione che
Prodi (o chi per lui) abbia saputo elaborare sia quella di imbarcare qualche
altro ex democristiano a titolo individuale, sostituendo l’infido De Gregorio
con l’accorto Follini o qualcosa del genere non fa molto sperare per il
futuro. Rendere ancora più eterogenea una coalizione che non ha saputo
resistere alla propria eterogeneità non sembrerebbe una ricetta così brillante.
A meno, naturalmente, che il programma sia quello di cambiare politica,
dando al timone del governo un deciso dirizzone a destra, senza prendersi
il disturbo di comunicarlo agli elettori (e neanche a tutti gli eletti).
Che sarebbe un equivoco non da poco e, probabilmente, l’errore definitivo.
26.02.’07