Per errore

La caccia | Trasmessa il: 02/26/2007



Posso sbagliarmi, ma ho l’impressione che la (provvisoria?) caduta del governo Prodi non la volesse nessuno tra i molti che ci hanno messo mano.  Non la volevano i due senatori della sinistra – diciamo così – autoreferenziale, che probabilmente si illudevano di salvarsi l’anima con l’astensione e di lasciare che alla sopravvivenza dell’esecutivo provvedessero, more solito, i senatori a vita, e non la volevano i due senatori a vita che si sono astenuti  nell’auspicio che a salvare la maggioranza avrebbero provveduto, per una volta, i colleghi dell’ala estrema.  Si erano incautamente fidati, gli uni e gli altri, della preveggenza del ministro D’Alema, certi che mai e poi mai l’astuto bombardiere avrebbe posto quella specie di questione di fiducia morale sulla propria relazione senza aver ricevuto le più ampie assicurazioni di consenso da parte di tutte, ma proprio tutte, le componenti della sua variegata maggioranza.  Poi si è scoperto che l’uomo con i baffi aveva confuso, una volta di più, i propri desideri con la realtà – gli capita più spesso di quanto ami far credere – ed è successo quel che è successo.
        L’altra ipotesi, quella per cui il voto inatteso di Andreotti e Pininfarina sarebbe stato l’espressione di una congiura dei “poteri forti” (il Vaticano, naturalmente, essendoci di mezzo Andreotti, ma anche la Confindustria e  il Pentagono, da soli o coalizzati) volta a liquidare a tradimento un governo rivelatosi pericoloso per i loro interessi, mi sembra, in tutta franchezza, un po’ troppo bella per essere vera.  Troppo bella e soprattutto troppo lusinghiera per Prodi e i suoi, nel senso che nulla di così pericoloso pare davvero che fosse nei progetti della defunta compagine, per non dire che in essa tanto il Vaticano, quanto la Confindustria e il Pentagono avevano i loro bravi puntelli, sì che per richiamare all’ordine eventuali riottosi sarebbe bastato, alla fin fine, un semplice schiocco di dita.  E se è vero che un futuro governo Berlusconi potrebbe rivelarsi, con un po’ di sforzo, ancora più accomodante nei confronti di quei poteri, non sembra che le differenze che si possono prevedere siano tali da giustificare lo sforzo di organizzare una congiura e delegarne l’esecuzione a un personaggio inaffidabile come Andreotti, che chissà poi cosa è capace di volere in cambio.
        Più probabile, dunque, che il governo sia caduto semplicemente per errore, come ben si addiceva, d’altronde, a un esecutivo largamente fondato sugli equivoci e sulle reticenze, che sono figure retoriche complicate, maneggiando le quali è assai facile sbagliarsi.  Perché il problema del centro sinistra non era tanto quello – di cui si favoleggiava – della contrapposizione tra riformisti e radicali, visto che a un ben scarso interesse per le riforme si aggiungeva, in tutte le forze che vi confluivano, una totale mancanza di radicalità, quanto la necessità di far convivere una sommatoria di modeste identità e piccoli interessi particolari, in una specie di caleidoscopio di moderati, sedicenti estremisti, clericali,  teodem, tecnici o presunti tali, finanzieri di stretta osservanza e altri ancora, in un coacervo di gruppi che cercavano di imporsi reciprocamente un punto di vista qualsiasi in nome della comune mancanza di alternative.   In questo, va detto, i senatori Turigliatti e Rossi, che  gli dei li perdonino, non si sono comportati in modo molto diverso dei vari Rutelli, Mastella o Parisi e il grido “qui si fa come voglio io o si va tutti a casa” non l’ha lanciato il solo D’Alema.  E il fatto che l’unica soluzione che Prodi (o chi per lui) abbia saputo elaborare sia quella di imbarcare qualche altro ex democristiano a titolo individuale, sostituendo l’infido De Gregorio con l’accorto Follini o qualcosa del genere non fa molto sperare per il futuro.  Rendere ancora più eterogenea una coalizione che non ha saputo resistere alla propria eterogeneità non sembrerebbe una ricetta così brillante.  A meno, naturalmente, che il programma sia quello di cambiare politica, dando al timone del governo un deciso dirizzone a destra, senza prendersi il disturbo di comunicarlo agli elettori (e neanche a tutti gli eletti).  Che sarebbe un equivoco non da poco e, probabilmente, l’errore definitivo.

26.02.’07