Avete letto il servizio che il “dorso”
milanese del “Corriere” ha dedicato, domenica scorsa, alla Stazione Centrale?
Sono tre pagine fitte, ricche di articoli, interviste, citazioni
di scrittori famosi e quant’altro è utile a dimostrare come il principale
scalo ferroviario della nostra città sia, se non proprio la sentina di
ogni vizio, almeno un luogo di intollerabile degrado. Si comincia
con un titolo a sei colonne a pagina 45, “’La Centrale come il Bronx,
abbiamo paura’” e si finisce tre pagine dopo informando che aumentano
i reati, i commercianti sono in fuga e il piano di ristrutturazione è fermo,
anche se si auspica, con uno sforzo di positività che “la Centrale deve
rinascere “. È da un po’ che i responsabili delle pagine locali
del Corrierone si preoccupano della sicurezza in città e particolarmente
di certi suoi luoghi tipici: un servizio del genere era stato dedicato,
settimane fa, a piazza del Duomo, e per la stazione, evidentemente, si
è deciso di non fare economia.
Personalmente,
sulla Centrale non ho opinioni particolari. Mi è sempre sembrata
uno degli edifici più orrendi che architetto sia riuscito a creare e mi
è capitato di pensare, passandoci, che l’unico modo auspicabile di ristrutturarla
consisterebbe nel raderla al suolo, ma non sono mai andato oltre queste
blande considerazioni estetiche. Sì, ho notato che la fauna umana
che vi ci si incontra è un po’ diversa di quella degli eventi di moda
e delle prime alla Scala, ma, siccome né queste né quelli sono tra le mie
frequentazioni preferite, non me ne sono mai preoccupato più che tanto.
In tutte le grandi città del mondo l’ambiente delle stazioni è,
per così dire, un po’ misto e capita che ai viaggiatori in arrivo e in
partenza si mescolino i tipi più strani. Ma in fatto di sicurezza,
confesso che mi sono sempre sentito più tranquillo in piazza Duca di Aosta
che dalle parti della Pennsylvania Station a New York.
Devo
essere sempre stato molto distratto. A pagina 46, sotto un altro
titolone a effetto (“Spaccio, furti e risse nella giungla della stazione”),
una grande tavola in prospettiva illustra minutamente i rischi che corre
ogni onesto frequentatore. Gli agenti del Commissariato Garibaldi
e della Polfer si danno abbastanza da fare, visto che nei primi nove mesi
del 2003 hanno effettuato 159 arresti per spaccio, sequestrando 36.264
grammi di hashish e marijuana e 4.484 grammi di eroina e cocaina, e hanno
effettuato18.430 controlli con 306 arresti complessivi (a fronte di 44
scippi, 154 rapine e 97 aggressioni denunciate), ma ci vuol altro. Davanti
all’hotel Gallia, leggiamo, “i turisti sono truffati dai biscazzieri,
che ‘intrattengono’ con il gioco delle tre tavolette”. All’angolo
di Piazza Duca d’Aosta, a due passi dalla pensilina, c’è “spaccio e
ritrovo di ‘balordi’”, tossicomani e alcoolisti. Alle 4,15, appena
un poco più in là, “le prostitute nigeriane prendono il primo treno della
giornata per Torino”. In via Napo Torriani, qualche metro a sud,
le loro colleghe italiane sono “in cerca di clienti”. Un po’ più
a nord est, nei giardinetti oltre via Vitruvio “decine di albanesi e romeni
giocano a dadi con puntate da 20, 50 e 100 euro”. Poco più oltre,
davanti al Mc Donald’s c’è il “punto d’incontro dei romeni” e un “teatro
di ricettazione”. Verso via Ferrante Aporti, si incappa in “scippi
e borseggi dovunque: dalla biglietteria al terminal dei bus.” E
più in là, via Sammartini “è la ‘Gay Street’ di Milano” (“al civico
33 c’è il palazzo noto per i trans”), in piazza IV novembre s’incontrano
senegalesi e nigeriani, nonché “donne africane che vendono cibo e birre”
e “in piazza Luigi di Savoia moldave, ucraine e polacche sono in cerca
di un posto di lavoro”. Che scandalo.
Un
momento, un momento, un momento. Che male c’è, a pensarci, se in
piazza Luigi di Savoia moldave, ucraine e polacche cercano un posto di
lavoro? O se in piazza IV novembre delle africane vendono cibo o
birra? O se dei romeni si incontrano davanti al Mc Donald’s? O,
quanto a questo, se in via Sammartini allignano i locali gay e, al civico
numero 33, alloggiano i trans? Essere gay, trans, romeno, africana,
moldava, ucraina, polacca e cercare lavoro non è ancora vietato per legge.
O
forse sì. Nel senso che è difficile non avere l’impressione che
i compilatori della tavola, dopo aver elencato con scrupolo le attività
delittuose che hanno luogo abitualmente nei dintorni della stazione, abbiano
pensato che il quadro fosse un po’ miserello. In effetti, l’interazione
tra gioco delle tre tavolette, spaccio, ricettazione spicciola, partenza
di prostitute (che, anche se la prostituzione fosse un reato, andrebbero
comunque a commetterlo altrove), scippi, borseggi e affini non sembra connotare
un paradiso del crimine tipo Las Vegas o Chicago anni ’30. È il
solito panorama di piccola delinquenza urbana, quella che spesso si concentra
nelle zone di passaggio frequente, come le stazioni, e che da sempre i
commissariati locali e gli uffici della polizia ferroviaria tengono sotto
controllo. Ma se le prostitute sono nigeriane e i ricettatori romeni,
be’, le cose cambiano, no? Aggiungiamoci la presenza di donne africane
e dei paesi dell’est, ancorché intente ai propri innocentissimi affari.
Il quadro diventa sempre più cupo. Inseriamoci, per buona misura,
i gay in via Sammartini. Non è nemmeno tanto vicina, via Sammartini,
anzi, è decisamente fuori tavola, e il fatto che vi si riuniscano i gay
non è più significativo, dal punto di vista dell’ordine pubblico, della
presenza di un noto ristorante di pesce, ma chi se ne frega? Mescoliamo
e rileggiamo di fila. Gioco d’azzardo, spaccio, senegalesi, ricettatori,
nigeriani, albanesi, prostitute, gay, romeni, africane, moldave, ucraine,
polacche… Cosa vi suggerisce l’elenco? Vi suggerisce l’impeccabile
conclusione razzista per cui è da fuori, dall’Africa e dall’Est Europa,
che arrivano i mali che affliggono i bravi milanesi alla Stazione Centrale
e altrove.
Ma
questa è soltanto un’illazione nostra. Non c’è una riga, nel servizio
di domenica scorsa che lo affermi. Alle pagine milanesi del
“Corriere” non sono razzisti: sono dei veri democratici, loro,
degli autentici liberal. Leggete pure i fondi che pubblicano sul
futuro della città, il ruolo della borghesia, le nuove professioni, gli
investimenti e le risorse umane (ce n’è uno anche su quel numero, di Gaspare
Barbiellini Amedei): tutta roba buona. Che ci volete fare? Devo
essere io, come al solito, che penso male.
09.11.’03