Sempre a proposito di Berlusconi e di
televisione. Avrete assistito anche voi alla sua conferenza stampa
televisiva dell’altro ieri, o ne avrete letto, come me, sui giornali.
Si è trattato, ovviamente, di un inverecondo megaspot, in cui l’individuo,
con la consueta faccia di bronzo, non si è peritato di farsi pubblicità
a nostre spese. Alcuni commentatori (non molti) hanno fatto notare
come, tra vanterie non controllabili e promesse in stile libero, il contenuto
di informazione rinvenibile nelle affermazioni del Presidente del Consiglio
fosse pari praticamente a zero. Ma nessuno, per quanto ne so, ha
osservato come almeno uno dei suoi propositi, quello di realizzare, con
le sole forze della maggioranza, una riforma istituzionale in senso presidenzialista,
abbia delle ottime probabilità di realizzarsi ancor prima della data che
il cavaliere ha voluto approssimativamente indicare. Anzi, a dirla
proprio tutta, il tipo si sta comportando come se quella riforma fosse
già stata proposta, votata e approvata: è da un pezzo, se ci pensate bene,
che sfrutta l’acquiescenza dell’attuale inquilino del Quirinale per agire
come se fosse già il leader di un esecutivo presidenziale all’americana.
E siccome il ragazzo scemo non è, e di comunicazione un po’ se ne
intende, ha sempre cura di sanzionare a livello simbolico questa usurpazione
di ruolo. In fondo ha cominciato già prima delle elezioni, inserendo
a grossi caratteri il suo nome sulla scheda, il che realizzava, di fatto
se non di diritto, quell’investitura diretta del premier che del presidenzialismo
è una delle condizioni di fondo. Naturalmente, il fatto che Rutelli lo
abbia entusiasticamente imitato significa soltanto che gli strateghi
del centro sinistra sono ancora più cinici di lui.
L’altro ieri, chiotto chiotto, il Nostro
ha mosso un altro passetto in avanti, facendo collocare in bella vista
sulla parete alle sue spalle quel pataccone ovale con lo stemma dello Stato
circondato da un cerchio di stelle e la dicitura “Consiglio dei Ministri
– Il presidente ” che avrete visto tutti in TV o in fotografia. Si
tratta di un logo, ci è stato spiegato, molto simile, mutatis mutandis,
a quello che il Presidente degli Stati Uniti, o il suo Segretario di Stato,
esibiscono in analoghe circostanze sul frontalino del podio da cui
si rivolgono agli interlocutori. Ma appunto. Nel caso di Bush,
o di chi per lui, quell’insegna non è affatto un logo, un elemento decorativo,
o una targa segnaletica che ricordi a chi non lo sappia, o lo abbia eventualmente
dimenticato, che quel signore lì è il Presidente degli Stati Uniti di America.
È il suo sigillo, il Great Seal, un simbolo di sovranità, che esprime,
come quello del Gran Cancelliere della corona britannica, da cui sostanzialmente
deriva, il potere di promulgare, rendendole effettive, le norme approvate
dai vari corpi legislativi. Si tratta, in sostanza, di quanto di
più simile a una Coat of arms, a uno stemma regale o nobiliare, una tradizione
repubblicana possa concedere.
Ora, Berlusconi, allo stato, non è né
un sovrano né, per ora, un premier eletto direttamente dal popolo e investito
della pienezza dei poteri esecutivi. Non è neanche Capo del Governo,
una carica, che, in Italia, non è mai esistita, salvo che per i vent’anni
del regime fascista. È, semplicemente, il Presidente del Consiglio
dei Ministri, come a dire il primus inter pares in un organo che
risponde, nella sua collegialità, al Parlamento e i cui membri godono,
ciascuno nel suo campo, di una notevole autonomia. È già una gran
bella dignità e gli assicura, com’è noto, un bel po’ di poteri, anche
se nulla gli vieta di volerne di più e di adoperarsi perché quelli attuali
siano opportunamente ampliati. Vedremo (vedrete) come andrà a finire.
Ma il suo pataccone, per ora, l’ha voluto lo stesso, non si capisce
bene se come auspicio o per darci modo di abituarci all’idea. E
se per caso vi saltasse in mente di obiettare che, in linea di principio,
è meglio prima raggiungere una certa carica, o un certo potere, e poi inalberare
i simboli relativi, vorrebbe dire che non avete ancora capito un accidente
di come si fa politica in televisione.
23.12.’01