Parola di pappagallo

La caccia | Trasmessa il: 01/25/2004



Da “il manifesto”, quotidiano comunista, martedì 20 gennaio 2004, pag. 13:  “A 104 anni, la pappagalla Charlie amata da Winston Churchill non smette di urlare ‘Fuck nazi, fuck Hitler’ …  Churchill comprò Charlie nel 1937, è un’ara macao giallo e azzurro considerato ora il più vecchio pappagallo del Regno Unito.  Peter Oram l’ha comprato alla morte di Churchill, nel 1965, per tenerlo nel suo negozio di animali.  Ma è bastato poco per accorgersi che non era il posto adatto: Charlie bestemmiava e imprecava come il peggiore dei filibustieri.  Oram l’ha dunque portata a casa, dove il pennuto continua a insultare i nazisti.”
        È una noticina che dal punto di vista della tecnica giornalistica, anche a prescindere dall’anacoluto al secondo capoverso, lascia molto a desiderare.  Non si capisce dove stia la notizia.  La storia di Charlie risale, appunto, al 1965, ha circolato a lungo su giornali e riviste e non è chiaro per quale motivo dovrebbe tornare, oggi, all’onore delle cronache.  Sì, la pennuta è invecchiata, come succede a tutti, ma non le è capitato niente di speciale e sembra, anzi, in ottima forma.  DI fatto, continua a bestemmiare, imprecare e mandare Hitler affanculo con lo stesso zelo di trentanove anni fa.
        Pure, la sua storia ha interessato il sistema informativo italiano.  Oltre al “manifesto”, è piaciuta a parecchi organi d’informazione: gli ascoltatori mattinieri ricorderanno di averne sentito riferire alla rassegna stampa di Radio popolare.  Io, per mio conto, l’ho trovata in prima pagina sul “QN”, il supplemento nazionale comune al “Giorno”, alla “Nazione” e al “Resto del Carlino”, e ho appreso, sempre dal “manifesto” il giorno dopo, che era  stata trattata con ampiezza dal Tg2 e dal Tg5 di metà mattina, con qualche discordanza su chi avesse insegnato alla bestiola a “parlare”, se il celebre leader conservatore, suo padre o altri.  Sembra che il Tg2 abbia anche riferito di una secca smentita della figlia dello statista, un particolare che avrebbe forse dovuto consigliare in materia un dignitoso silenzio.
        I giornalisti, in Italia, sono fatti così: in troppi sono disposti a “sfumare” le notizie che contano, specie quando possono infastidire qualcuno, ma morirebbero pur di non lasciarsi sfuggire un aneddoto pittoresco.  Parte della responsabilità, certo, va anche all’agenzia, presumibilmente britannica, che ha passato la non notizia, ma non so in quanti paesi essa sia stata recepita con altrettanto entusiasmo che nel nostro.
        D’altronde, c’è pittoresco e pittoresco.  La figura del pappagallo indiscreto, capace di mettere in crisi, con le sue inopinate uscite verbali, pretese e progetti di chi lo circonda, è talmente nota da costituire un topos ideologico metropolitano.  È familiare ai lettori dei fumetti di Paperino, in cui ha di solito il compito di ricordare la combinazione della cassaforte a un Paperone dimentico o, indifferentemente, di riferirla ai Bassotti e compare spesso, in contingenze analoghe, sulla stampa popolare.  Il concetto, più o meno, è quello per cui un animale innocente non può preoccuparsi delle nostre menate e delle ipocrisie relative, tipo l’attaccamento al denaro, i tabù linguistici e le pretese di rispettabilità delle grandi famiglie britanniche.  E tutto sommato, visto che l’idea dell’innocenza dell’animale è strettamente legata alla nozione di “stato di natura”, si tratta soltanto di uno degli innocui residui di sapienza cinica che circolano, un po’ incongruamente, nella nostra cultura.
        Da un punto di vista strettamente linguistico, invece, è improbabile che i pappagalli, come i merli indiani, le graccule religiose e gli altri uccelli che ne hanno fama, sappiamo davvero parlare, almeno la nostra lingua.  In caso contrario, non mancherebbero di comunicarci che cosa pensano della nostra abitudine di tenerli in gabbia o incatenati a un trespolo.  È solo per ingannare la noia della prigionia, immagino, che si sforzano, nonostante la differenza dei rispettivi organi fonatori, di ripetere qualche parola, tra le tante che, del nostro chiacchiericcio quotidiano, giungono loro.  Nulla di preoccupante, in definitiva.  Eppure, lo si vede anche dalla diffusione delle notizie su Charlie, c’è qualcosa, nel fenomeno, che ci preoccupa.  È come se la nostra cultura, che si è compiaciuta di rispecchiarsi, dai tempi di Esopo a quelli del dottor Dolittle, in questi non abbastanza muti compagni, abbia – sotto sotto – una gran paura di esserne sbugiardata.  Che sappia di avere, in termini di valori, una coda di paglia lunga così.

Sul piano individuale, la morale è forse più semplice.  È ovvio che per tenersi accanto un pappagallo bisogna essere affatto immuni da rivelazioni imbarazzanti, o almeno indifferenti al giudizio morale altrui, come Long John Silver, che infatti il loquace pennuto se lo portava addirittura in ispalla, o di animo intrepido come il vecchio Winnie, che affanculo Hitler era capace di mandarcelo davvero.  Di politici di tal fatta, purtroppo, si è perso lo stampo.  Oggi, si sa, ci si preoccupa dell’immagine e ve lo vedete un Berlusconi correre il rischio che un volatile si lasci sfuggire qualcosa dei suoi discorsi privati?   Certamente no.  Anche se di pappagalli l’Uomo del Lifting è letteralmente circondato, si tratta di pappagalli umani, che parlano solo quando glielo dice lui.

25.01.’04