Si avvicina novembre e, come avrete
certamente notato, nelle vetrine di una varietà incredibile di negozi e
botteghe sogghignano teschi, troneggiano cappelli da strega e occhieggiano
zucche intagliate in forma di mascherone. Bambini e adulti (più gli
adulti che i bambini, direi) si apprestano a celebrare la ricorrenza di
Halloween, l’antica veglia pagana dei morti, che, sulle ali di tanti film
e di tanti fumetti, è sbarcata da qualche anno anche nel nostro paese.
So
che molte persone di retto sentire non vedono di buon occhio il fenomeno,
che lo deplorano, anzi, considerandolo un’imitazione pedissequa di consuetudini
altrui, o addirittura l’effetto di un’operazione di colonialismo culturale.
Hanno le loro ragioni, naturalmente, ma vi confesserò che personalmente
non riesco a condividerle fino in fondo. Halloween, nelle sue forme
attuali, ci viene dagli Stati Uniti d’America, ma è un rituale che affonda
le radici nel folclore celtico e non è necessario essere dei seguaci di
Bossi per sapere che l’elemento celtico non è poi così estraneo alle nostre
variegate origini etniche. Di fatto, quella delle comitive di bambini
che, in abito di spiritelli o folletti, girano per le case a fare la questua
è una tradizione che si mantiene in molti paesi europei, dalla Scandinavia
alle isole greche, e sopravvive persino in qualche area isolata della nostra
penisola, anche se non si riferisce sempre alla notte del due novembre,
ma riguarda, più spesso, il Capo d’Anno o l’Epifania.
La
data, comunque, importa poco. È ovvio che quei bambini non sono folletti,
se non, forse, per eufemismo. Sono, in tutta evidenza, dei piccoli
fantasmi, nel senso che impersonano i morti, gli antenati che, in quell’unica
notte, scendono tra i viventi e ne condividono il cibo. I dolciumi che
vengono loro elargiti non sono altro che la materia di un sacrificio propiziatorio,
qualcosa di molto simile ai fiori che, nella stessa ricorrenza, siamo soliti
deporre nei cimiteri. In quella festa, come in molti altri rituali
diffusi nel pianeta, si celebra una delle più antiche illusioni dell’umanità,
quella di poter essere vicini ai propri cari scomparsi in altra forma che
non attraverso il ricordo. E a quei bambini si delega la funzione
di rappresentare chi non è più con noi per affermare simbolicamente la
perennità della vita, che si tramanda, al di là del destino dei singoli,
da una generazione all’altra. Il tutto rappresenta, dunque, un rituale
ricco di significato, oltre che un’occasione preziosa per riflettere su
degli argomenti su cui si preferisce, di solito, non riflettere affatto
e sui quali la stessa cultura religiosa fa calare un’impenetrabile saracinesca.
Ben
vengano, dunque, a illuminare queste cerimonie, le lanterne scavate nelle
zucche e poco importa se, ormai, si tratta quasi soltanto di zucche di
plastica. Di plastica, oggi, sono anche gli alberi di Natale e nessuno
se ne rammarica: molti, anzi, ne traggono motivo di compiacimento, vedendovi
il riflesso di una nuova coscienza ecologica. Io non so se le zucche,
come specie, corrano il rischio di estinzione che, sotto le feste, minacciava
un tempo gli abeti, ma sono certo che godono degli stessi diritti di tutti
i vegetali e sono ben lieto che vengano lasciate vegetare tranquille negli
orti (salvo, beninteso, quelle destinate alla preparazione dei tortelli
alla mantovana). Sul mistero del susseguirsi delle generazioni si
può meditare benissimo alla luce di una lampadina.
So
già cosa vorreste obiettare. Queste, direte, sono belle parole, ma
non nascondono il fatto che Halloween come festa ha perso da tempo qualsiasi
significato. Le sfilate degli spiritelli mascherati non sono neanche
concepibili tra gli orrori e i pericoli del nostro ambiente metropolitano
e persino nelle aree suburbane degli Stati Uniti, dove l’usanza soprattutto
si era sviluppata, i genitori preferiscono, ormai, trattenere in casa la
prole. Troppi sono i malintenzionati pronti ad abusare crudelmente
delle povere creature o i mentecatti che si divertono a offrir loro, invece
dei tradizionali dolcetti, allucinogeni, purganti o altre sostanze nocive,
per non dire che quest’anno l’emergenza antrace e il lutto per gli attentati
dell’11 settembre hanno spinto molte amministrazioni locali a vietare
formalmente qualsiasi corteo. In Italia poi, del fenomeno sono state
immancabilmente mutuate le caratteristiche più esteriori e superficiali.
Halloween, da noi, lo si festeggia soprattutto in discoteca e le
zucche lanterna fanno bella mostra di sé sui banconi dei bar e dei locali
alla moda. Nessuno degna di un solo pensiero gli spiriti dei trapassati
e tutta quell’esibizione di lenzuoli da fantasma, scheletri e teschi non
è altro che l’occasione dell’ennesimo sfruttamento commerciale della
tradizione e, in definitiva, di un’ennesima carnevalata.
È
vero. Ma che volete farci, amici miei: quello del carnevale perenne
e del perenne sfruttamento di qualsiasi tradizione, indigena o importata,
è il mondo nel quale viviamo. L’introduzione nel nostro paese dei
riti e dei simboli di Halloween non rappresenta uno scandalo perché si
tratta di simboli e riti estranei alla nostra cultura, visto che, in fondo,
qualsiasi cultura non può che trarre giovamento dai rapporti e dagli scambi
con le altre. Lo scandalo sta nel rifiuto di leggere il messaggio
che quella tradizione comporta, nell’aver fatto di una festa significativa
e gentile il pretesto per smerciare la solita insopportabile paccottiglia.
Ma questo, lo sapete, non è certo un fatto d’importazione: è una
delle caratteristiche permanenti di un paese che per gli analfabetismi
culturali e lo spaccio della chincaglieria ha sempre manifestato una simpatia
particolare. Come dimostra, d’altronde, la composizione dell’attuale
governo.
28.10.’01