Massimo D’Alema, se ancora vi ricordate di lui, aveva, tra le sue molte
ambizioni, quella di fare dell’Italia un “paese normale”. Evidentemente,
non c’è riuscito. Non c’è nulla di normale, diciamocelo pure, in
un paese in cui il problema politico principale, a tre settimane scarse
da un’importante votazione, è quello di come cancellare dalle liste elettorali
i nomi dei concittadini defunti e che dalla realizzazione di questo obiettivo
fa dipendere non solo la stabilità del governo, ma anche la coesione della
maggioranza e la credibilità dell’opposizione. I morti, si sa,
hanno sempre avuto un ruolo importante nella nostra storia elettorale:
all’alba del suffrago universale, in età giolittiana, non soltanto figuravano
nelle liste, ma votavano in massa, garantendo al governo quella stabilità
e quella libertà di manovra che anche allora erano in tanti ad auspicare,
ma, francamente, credevamo che il problema fosse superato. E se la
revisione degli elenchi relativi una volta era un fatto burocraticamente
e operativamente complesso, che richiedeva parecchio lavoro impiegatizio
e una certa scrupolosità organizzativa, per cui non la si poteva fare che
una o due volte all’anno e chi c’era c’era e chi no no, oggi la tecnologia
informatica dovrebbe aver semplificato non poco le procedure necessarie
per cancellare, se non altro, i defunti, e qualsiasi governo normale, di
destra o di sinistra, dovrebbe essere in grado di farlo senza costringere
quella povera donna della Bonino, che ormai deve avere i suoi anni, a starnazzare
nelle pubbliche piazze. Ma il governo normale non è, il paese nemmeno
e visto che cancellare i nomi dei morti non è poi così facile, qualcuno
deve aver deciso che si poteva approfittare della situazione per cancellare
anche un certo numero di nomi di vivi, magari perché irreperibili, come
se l’irreperibilità anagrafica comportasse, tra le varie sue conseguenze,
la perdita dei diritti civili.
Un altro bel esempio di normalità, lo ammetterete,
è il caso dello “sciopero bianco”, quello cui sono ricorsi, o avrebbero
dovuto ricorrere, non ho capito bene, quei poveri martiri calunniati degli
agenti di polizia penitenziaria. Lo “sciopero bianco”, come saprete,
si realizza quando i lavoratori in lotta si guardano bene dall’astenersi
dal lavoro (in genere perché, per motivi di ordine pubblico o di pubblica
necessità, ne sono impediti), ma esprimono la propria protesta applicando
con scrupolo maniacale tutte le norme relative, il che comporta automaticamente
il blocco completo dell’attività in questione. Il che significa
che i regolamenti, di norma, non vengono applicati, che, anzi, la loro
applicazione è considerata nociva e pericolosa e che l’efficienza, in
ultima analisi, si identifica con l’illegalità. Il problema, s’intende,
non riguarda soltanto gli agenti di custodia, anche se nel loro caso questa
forma di protesta, risolvendosi in una vera e propria forma di vessazione
a danno di soggetti già abbastanza disgraziati, risulta particolarmente
sgradevole. Il fatto è che quando qualcuno (doganieri, insegnanti,
camionisti o chi altro) ricorre a questo singolare strumento di lotta,
le reazioni dell’opinione pubblica possono essere le più varie, ma nessuno,
a quanto mi risulta, ha mai eccepito che le regole, se ci sono, vanno rispettate
comunque e che se esistono delle buone ragioni per non applicarle, tanto
vale abolirle e non pensarci più. In un paese normale, in effetti, di “scioperi
bianchi” se ne potrebbe fare al massimo uno: subito dopo chi di dovere
provvederebbe a far piazza pulita di un insieme di normative che, ben lungi
dal regolare il corretto svolgimento delle varie attività pubbliche, se
applicate lo bloccano.
E se qualcuno si chiedesse che cosa mai c’entrano
l’uno con l’altra lo “sciopero bianco” e la (mancata) revisione delle
liste elettorali, be’, non ci vuole poi molto per identificare l’elemento
che unifica entrambe le pratiche. Sono tutte e due la conseguenza
di una diffusa situazione d’arbitrio. L’amministrazione dovrebbe
tenere aggiornati gli elenchi dei morti e dei vivi, certo, ma non lo fa,
perché non sempre disporre di un elenco aggiornato rientra negli interessi
di chi detiene il potere. E le norme che regolano lo svolgimento
dei servizi pubblici dovrebbero essere fatte rispettare se utili, o abolite
se dannose, ma è molto più conveniente tenerle in un limbo da cui farle
emergere o meno, a seconda di quanto conviene alla propria parte. C’è
chi le regole le deve rispettare tutte, senza eccezione, perché se sgarra
di un millimetro lo mazzolano immediatamente, e chi, beato lui, può permettersi
di scegliere caso per caso: questa sì, perché mi va bene, questa è meglio
lasciarla da parte, poi vedremo con calma. Il nostro è un paese di
normale ineguaglianza e questo, probabilmente, è il suo guaio maggiore.
14.05.’00