Natale a tolleranza zero

La caccia | Trasmessa il: 12/13/2009


    Ha scelto la via del patetico il cronista cui è toccato di riferire, sulle pagine milanesi del “Corriere” di giovedì 10, l'amara vicenda delle due cittadine rumene finite a San Vittore per aver cercato di imboscare, alla cassa di un supermarket, alcune stecche di cioccolato e qualche Pocket coffee, per un valore globale di ottanta euro. Le due poveracce, Mikaela e Florina, vengono definite “mammine” nel testo (semplicemente “mamme” nell'occhiello), si precisa che, a 23 e 21 anni, hanno già cinque bambini in due, bambini cui, ovviamente, erano destinati i dolciumi in questione, si racconta che la loro comparsa in aula, dove fino ad allora avevano tenuto banco le più sgradevoli storie di “rapine, spaccio e altri fattacci”, ha portato quasi una ventata di allegria, nella generale convinzione di una imminente concessione della libertà provvisoria in attesa del giudizio, per cui, quando, a sorpresa, sono state spedite in cella con la sicura prospettiva di restarci almeno fino al 15 gennaio, data in cui le processeranno e le condanneranno, probabilmente con la condizionale, visto che sono incensurate e comunitarie, è stata una doccia gelata per tutti. Sconcertato il loro legale e “un po' male ci sono rimasti anche i carabinieri”.
    Raccontata così, la storia senza dubbio commuove e garantisce che anche nelle aule del tribunale si può insinuare un'aria “vagamente natalizia”. Ma ha il difetto di non spiegare, in realtà, cosa sia successo. Dall'articolo non è dato apprendere esplicitamente quale evento improvviso, quale imprevista catastrofe abbia strappato Mikaela e Florina ai loro bambini proprio sotto le sante feste. È il lettore che, sulla base di quel po' di cultura giuridica di cui dispone, deve integrare il testo, supponendo che un magistrato – presumibilmente un giudice unico – abbia deciso per motivi suoi di non concedere la libertà provvisoria e di mandare le due reprobe, feste o non feste, a scontare la pena già prima della condanna, che così imparano. E non si rischierà molto a supporre che le motivazioni del suddetto abbiano qualcosa a che fare con il noto concetto di “tolleranza zero”, per cui poco contano l'esiguo valore del bene sottratto o la mancanza di precedenti delle accusate, di fronte alla necessità di tranquillizzare i cittadini disorientati e sgomenti di fronte all'ondata di microcriminalità e al proliferare di reati a opera di stranieri, extracomunitari o meno.
    Di questo magistrato, seguace, non sappiamo quanto consapevole, di una antica tradizione giuridica, quella per cui in galera ci vanno i poveracci che rubano un tozzo di pane (o una stecca di cioccolato), mentre chi ha a che fare con i miliardi di euro ha molte più probabilità di cavarsela, la cronaca preferisce non fare menzione, figurarci se ce ne dice il nome. Ed è un peccato, perché scelte come le sue – sempre che siano esatte le nostre povere supposizioni – sono davvero di stretta attualità. Pensate quanti pezzi grossi, a Milano, leggendo quella nota di cronaca avranno assentito con approvazione, pensando che era davvero ora. E in una fase storica in cui nei tribunali impazzano le toghe rosse e tra giudici e governo non regna certo quell'armonia che tutti auspicheremmo, la sua figura potrebbe porsi come un esempio e un modello. Fossero tutti come lui i giudici, il povero Silvio non dovrebbe andare a pietire simpatia fino a Bonn. Forse il Presidente, tutto preso dagli affari di stato, non legge la cronaca, ma se lo facesse penserebbe che non tutti laggiù, nelle aule sorde e grigie, gli vogliono male.
13.12.'09