Musulmani perfetti e perfetti musulmani

La caccia | Trasmessa il: 12/16/2007


    Chissà se è piaciuta, la prima della Scala, all'emiro del Qatar (perché questo è il titolo che gli compete e non di un semplice sceicco si tratta, come hanno scritto, con maleducata imprecisione, i quotidiani del giorno dopo). È vero che Wagner – e il Tristano in particolare – ha una sua indubbia capacità di fascinazione, anche sugli inesperti e i disinteressati, e una volta rassegnatisi alle cinque ore e più di durata non deve essere stato difficile ai molti analfabeti che dieci giorni fa gremivano palchi e poltrone lasciarsi portare dall'onda della sua musica. Certo, se gli avessero sottoposto qualcosa di davvero difficile – che so, Cimarosa – sarebbe stato un altro paio di maniche, ma con Wagner tutti se la possono dignitosamente cavare, magari a prezzo di qualche occasionale intorpidimento. Ma lui, l'emiro, poveraccio, è nato e vissuto in un mondo che ha della musica una concezione e una pratica di consumo radicalmente diverse e anche se non dubito che abbia compiuto i suoi bravi studi a Oxford, alla Columbia, o in qualche altro posto del genere, non riesco a credere che quella breve immersione possa averne fatto un autentico wagneriano. Come a noi europei e affini la musica araba, con i suoi intervalli microtonali e le sue scale pentatoniche, sembra irrimediabilmente ripetitiva e irritante, chissà quale effetto può avere mai fatto all'emiro e al suo seguito la melodia infinita. Ma se è venuto a Milano per l'occasione, con moglie, figlia e funzionari al seguito, avrà sicuramente avuto i suoi motivi e da sagace uomo di stato in visita non ha espresso che ammirazione per tutto, Wagner compreso.
    Di pari ammirazione, va detto, è stato gratificato. A tutti i cronisti è piaciuta la sua figura rotondetta e baffuta, che, agghindata con indubbia eleganza nel costume tradizionale, ha fatto venire in mente ai più colti quegli orientali (di solito turchi, o algerini, ma fa lo stesso) che popolano le opere buffe del primo Ottocento. E a tutti, naturalmente, è piaciuta la sua signora, l'emira Mozah Bint Nasir, altissima, bellissima, raffinatissima con il suo turbante bianco che risolveva con eleganza il problema del velo, la tunica immacolata coperta da un abito in pizzo nero e una cascata di perle che faceva impallidire, dicono, i collier di tutte le signore presenti. Anche la figlia, in total black e perle nere, sembra facesse la sua figura. Non c'è dubbio che poter sfoggiare al proprio fianco tre esemplari simili ha giovato alla sindaca ospitante assai più della presenza di tutti gli altri capi di stato convocati per l'occasione.
    D'altronde, perché no? Incarnava, la famiglia reale del Qatar, il prototipo dei musulmani perfetti, che non sono, naturalmente, la stessa cosa dei perfetti musulmani. Belli, potenti, ricchi erano gli arabi che tutti vorremmo avere come vicini di casa. E cortesi, per di più: pensate alla signorilità con cui l'emiro, che di mogli, sembra, ne ha tre più il resto dell'harem, si è limitato a portarsene dietro una, per non mettere in imbarazzo i suoi ospiti con le loro fisime di monogamia. Tutta un'altra cosa, per intenderci, di quegli immigrati fastidiosi che popolano le nostre periferie, pretendono, con insopportabile protervia, di seguire i propri costumi e celebrare i loro riti, vogliono costruire ovunque le loro moschee e, sotto sotto, intrattengono chissà quali rapporti con l'eversione fondamentalista. Lui, l'emiro Hamad bin Khalifa al-Thani, è al di sopra di ogni sospetto: alleato di ferro degli USA, ospita nel suo paese le basi che fanno da retrovia alle truppe di occupazione in Iraq e se volesse passare un po' di tempo nel nostro paese nemmeno Magdi Allam ci troverebbe qualcosa da ridire. Poco importa, a questo punto, che si tratti di un despota, che ai suoi sudditi ha benignamente concesso, tre anni fa, di eleggere non un parlamento, figuriamoci, ma un consiglio consultivo, che governa ad arbitrio servendosi come ministri di figli, fratelli e cugini e destina a proprio uso personale e familiare buona parte delle ricchezze del suo paese, che dispone, oltre al solito petrolio, di sterminate riserve di gas naturale. Le perle bianche e nere che sfoggiavano sua moglie e sua figlia non le ha certo dovute pagare con il sudore della fronte.
    Ma i despoti, si sa, non ci fanno paura. Ci preoccupano molto di più i derelitti in cerca di lavoro e di sicurezza, quelli che alla Scala, se gli riesce, ci entrano solo per fare le pulizie e che viviamo comunque come una fonte di pericolo e di turbamento. E ci preoccupa l'Islam, naturalmente, con la sua vitalità e la sua riluttanza ad abbandonare i propri valori solo perché non ci fanno comodo. Sarà per questo, suppongo, che ci piacciono tanto gli Emiri. È una contraddizione, ma abbastanza nascosta da non dare troppo fastidio.