Modernità di cartone

La caccia | Trasmessa il: 11/16/2008


    Non mi sono mai interessato particolarmente di moda, dando al termine il significato ristretto di interesse per lo stile e le caratteristiche degli indumenti in voga e dei relativi accessori. Ma può capitare, naturalmente, che qualche singolo capo ogni tanto mi colpisca più di altri. Così, è da un po' che mi trovo a rimuginare sul copricapo in dotazione alle agenti della polizia municipale, quelle che, per intendersi, noi milanesi siamo abituati a chiamare le “vigilesse”, anche se il termine va contro a quasi tutte le norme vigenti, visto che “vigile” è un aggettivo sostantivato di genere comune che non ammette alcuna declinazione al femminile e che, in ogni caso, non lo si impiega più nemmeno per gli agenti maschi. È da qualche anno, comunque, che quelle brave signore, al posto del vecchio elmo verticale che un tempo aveva valso ai membri del corpo l'affettuosa denominazione popolare di “ghisa”, portano in capo un oggetto davvero singolare: una specie di berrettino a tronco di cono con le falde laterali rialzate di novanta gradi e quella anteriore a visiera, come in una versione a mezza punta dei tradizionali cappelli goliardici o, pur in assenza di penna d'aquila, di quello degli alpini. È un oggetto, se vi interessa il mio parere, di rara bruttezza, cui non sono riuscito a trovare alcuna giustificazione, né estetica né funzionale, e che rende alquanto ridicole le disgraziate che se lo devono mettere in testa. A me, poi, ricorda irresistibilmente la mise degli ufficiali della flotta imperiale nella sagra di Guerre stellari, quelli che dovevano stare ben attenti a non deludere le aspettative di Darth Vader se non volevano essere risucchiati all'istante dal lato oscuro della Forza. Non credo, tuttavia, che sia stato ispirato da quei film; suppongo, piuttosto, che lo abbia elaborato (a nostre spese) qualche sedicente spirito creativo alla ricerca di una linea che conciliasse l'immagine poliziesca e militare che le nuove uniformi tendono a conferire con una qualche più civettuola ostentazione di femminilità, di una via di mezzo – diciamo – tra il chepì e il cappellino per signora. Il risultato dev'essere piaciuto a molti, tanto è vero che è stato adottato da parecchie altre municipalità oltre alla nostra, ma a me, che volete che vi dica, no.
    Non che la cosa, naturalmente, abbia importanza. I gusti sono una faccenda affatto personale e può darsi benissimo che tutti gli altri cittadini della metropoli, voi inclusi, trovino il modello straordinariamente azzeccato. Viene a confortarmi nel mio parere, tuttavia, una notizia che ho letto lunedì scorso sulle pagine milanesi di “Repubblica”. Quel cappello, denunciano i rappresentanti sindacali della categoria vigilesca, dal punto di vista funzionale fa schifo. È fatto, alla lettera, di cartone e alla seconda giornata di pioggia è già da buttare. Il che, se si pensa che nel nostro clima tali giornate non sono rarissime e agli agenti in servizio non credo sia consentito l'uso dell'ombrello, non sembra un problema da poco. D'altro canto, prosegue l'articolo, che il Comune abbia una certa tendenza a fornire ai suoi prodi delle uniformi di qualità non eccelsa è confermato da altri dati. “Anche gli stivali da motociclista”, tanto per ristabilire l'equilibrio di genere riferendosi a un reparto prevalentemente, se non esclusivamente, maschile, “fanno acqua da tutte le parti”. Le suole “si scollano facilmente e i vigili sono costretti a rivolgersi personalmente ai calzolai per rimettere in senso la divisa d'ordinanza.” È un comportamento ormai diffuso, che, per quanto gradito possa essere ai responsabili dell'erario, crea un certo disagio nelle rappresentanze sindacali.
    Interessante, direte voi, ma che c'entra? E che c'entra, in particolare, il fatto che il berrettino delle vigilesse a me non piace? Non è necessario essere Kant per sapere che i giudizi di natura estetica e quelli che riguardano l'utilità pratica non rispondono agli stessi criteri. Eleganza e impermeabilità sono due categorie diverse, nessuna delle quali, a rigore, può essere impiegata per asseverare (o non asseverare) l'altra.
    D'accordo, d'accordo. Eppure... Eppure un dato comune alle due serie di fenomeni c'è e consiste nell'identità di chi li ha determinati. In altre parole, deve esserci qualcosa in comune tra insipienza e cattivo gusto, tra taccagneria e futilità, tra il desiderio di esibire delle novità e l'incapacità di realizzarle. Anche su queste cose, in fondo, si misura il livello di un ceto dirigente.
    Perché un cappello, in definitiva, oltre che uno strumento atto a riparare la testa dalle intemperie (quando non è di cartone) è un segno come tanti altri. Quando, come nel caso, fa parte dell'uniforme di un corpo organizzato, può servire a distinguere i vari reparti e specialità in cui esso si articola, i gradi e le funzioni dei suoi membri. Nel caso in esame, serve sopratutto a segnalare che gli agenti che lo portano sono donne, una funzione in sé abbastanza superflua, visto che non mancano ai cittadini altri elementi in base a cui attingere l'informazione. Ma questo non significa che sia inutile, perché serve anche a segnalare a noi tutti l'incoercibile tendenza dei nostri amministratori a privilegiare l'apparire sull'essere, a esibire a scopo esornativo una sorta di modernità di cartone, in cui si rispecchia non soltanto la mancanza di radici (perché mai credete che abbiano mandato in pensione il vecchio elmo, che, anche se non era di ghisa, era sicuramente impermeabile e praticamente eterno?) ma la convinzione di poter gabbare la gente facendosi belli a buon mercato. Una illusione, questa, tipicamente piccolo borghese e infatti è ai valori della piccola borghesia, come ci è capitato di osservare anche la settimana scorsa, che tendono a riferirsi costoro, anche quando personalmente dispongono di una barca di soldi. Non è soltanto una questione di cattivo gusto: è l'incapacità esistenziale di sfuggire alla dimensione provinciale che li caratterizza. Tra i cappellini delle vigilesse e i tailleur griffati della Moratti ci sono più elementi in comune di quanto non appaia.
    D'altronde li abbiamo eletti noi e ce li dobbiamo tenere.

    16.11.'08