Il ministro Martino, titolare nell’attuale
governo del dicastero della Difesa, sembra, a vederlo, l’uomo più pacifico
di questa terra. Il suo sorriso non sarà forse tra i più accattivanti,
ma i suoi modi cortesi, la sobria eleganza del suo vestire e la pacatezza
con cui è solito esprimersi rivelano in lui uno di quei liberali di antico
stampo cresciuti, come si usava, alla scuola dei gentlemen. Non per
niente è figlio d’arte: suo padre era il capo della nostra diplomazia
ai tempi di De Gasperi e Scelba, e, se ricordo bene, rassomigliava un poco
a sir Anthony Eden. Il rampollo è forse meno affilato nei lineamenti,
un po’ più cicciotello e tracagnotto, ma un non so che di britannico,
in un modo o nell’altro, se lo porta dietro. È facile immaginarselo
nella sala da fumo di un esclusivo club londinese intento a parlare di
viaggi con Phileas Fogg o ospite per il week end in qualche dimora patrizia
del Kent o del Sussex.
Apparenza:
tutta apparenza. Questa immagine, lo abbiamo scoperto una settimana
fa, è tristemente ingannevole. Come ben si addice a un ministro italiano
della Difesa, i suoi modelli l’onorevole Antonio Martino preferisce cercarseli
oltre Atlantico. La stoffa di cui vorrebbe essere fatto è quella
del rude pioniere, del marine tutto di un pezzo, dell’uomo capace di sopravvivere
in una realtà urbana aggressiva e pericolosa, come potrebbero interpretarlo
un Clint Eastwood o un Charlton Heston. E il riferimento all’indimenticabile
interprete della prima versione del Pianeta delle scimmie è particolarmente
calzante, perché anche Martino, come fa spesso l’attore statunitense,
ha voluto spezzare una lancia a pro del diritto di tutti noi a girare armati
fino ai denti.
“Sfidando
il senso comune dei benpensanti” ha dichiarato lunedì scorso il ministro
della Difesa a Radio Radicale “difendo il secondo emendamento della Costituzione
americana, che garantisce ai cittadini la possibilità di portare armi.
La nostra legislazione, che invece è restrittiva, ha disarmato quanti
obbediscono alle leggi, ma non ha disarmato i delinquenti … Quando
sono state introdotte le restrizioni, io non ho visto alle questure file
di mafiosi che consegnavano la lupara o di terroristi che consegnavano
il kalashnikov.”
Impeccabile,
ma, forse, un poco schematico. Infatti gliene hanno dette praticamente
di tutte. Gli hanno ricordato, persino dall’interno della la maggioranza,
che la liberalità americana in tema di armamento individuale è considerata
dagli esperti una grave fonte di pericolo per l’ordine pubblico. I
vari sindacati di polizia hanno accantonato le beghe reciproche per auspicare
che alla proposta del ministro non si desse seguito. Qualcuno ha
osservato persino che se il tasso di omicidi rilevato a Chicago supera
di cento a uno quello delle vicine metropoli canadesi, dipende in gran
parte dal fatto che in Canada comperarsi una pistola e portarsela in giro
è più difficile che nello Stato dell’Illinois. Insomma, il poveraccio
ha dovuto affrettarsi a buttar lì una mezza smentita, dichiarando che a
lui interessava solo sottolineare la saggezza della Costituzione degli
Stati Uniti. Che è quanto tutti si attendono da un ministro italiano,
ma è anche, diciamolo pure, una sciocchezza mica male, perché si sa che
tra tutte le cose di cui quel paese può menar vanto la Costituzione è forse
l’ultima, non foss’altro perché risale a una fase storica in cui i problemi
sociali e politici che affliggono oggi gli americani erano tutti di là
da venire. Il secondo emendamento, per esempio, afferma “il diritto
del popolo a detenere e portare armi” in base al principio per cui “un
esercito ben organizzato è necessario per la sicurezza di uno stato libero”,
il che andava bene quando fu votato, nel 1791, in un aggregato di comunità
in cui si rispondeva alla chiamata alle armi presentandosi con il proprio
fucile ad armacollo, ma crea più problemi di quanti ne risolva da quando
l’esercito è un’organizzazione permanente su base professionale. E
se qualcuno si chiede come mai nessuno sia riuscito ad abrogare quell’articolo
arcaico e controproducente, vuol dire che ignora non solo che le norme
positive si caratterizzano per una certa qual viscosità, una certa tendenza
all’autoperpetuazione, ma anche che quella tendenza si mescola spesso
con gli interessi materiali, come quelli, nel caso, di chi le armi le produce
e le vende. In America quegli interessi sono ingenti e ingente è
la pressione che esercitano. Il Charlton Heston di cui sopra, da
quando non si esibisce più nei ruoli del virilone, ha trovato una seconda,
proficua carriera come portavoce della lobby dei mercanti di fucili e pistole.
Il loro motto, per cui “non sono le armi a uccidere, ma gli uomini”
fa venire i brividi ai poliziotti di tutti i cinquanta stati, ma finora
hanno vinto loro. E infatti in America ci si spara che è una bellezza,
e basta fare quattro passi in Times Square, a New York, dove un apposito
tabellone luminoso dà ragione del numero quotidiano dei morti ammazzati,
per rendersene conto.
Ora,
nessuno ha sentito il bisogno di ricordare come anche in Italia, nel nostro
piccolo, fabbrichiamo fucili e pistole. Si tratta, anzi, di un settore
importante della nostra industria di precisione. E mentre nessuno
contesta a chi lo guida il diritto di affidare la propria causa, se se
la sente, a un qualche abile portavoce, il fatto che questo ruolo se lo
assuma non un attore sfiatato, ma il ministro della Difesa in persona fa,
lo ammetterete, una certa impressione. Il fatto di essere ministro
non esonera nessuno dalla possibilità di dire delle sciocchezze, specie
in tema di ordine pubblico, ma dovrebbe consigliare a chiunque una certa
cautela prima di aprire la bocca. Il polo ha vinto le elezioni,
figuriamoci, ma ci sono ancora dei cittadini che preferirebbe roche tra
un ministro e un “lobbista” si notasse qualche sensibile differenza.
Macché.
Gli uomini di Berlusconi non badano alle distinzioni troppo sottili.
Forti della loro maggioranza, non hanno nessun bisogno di spaccare
i capelli in quattro. Quando si è liberali, per loro, non si può
che liberalizzare, anche perché i divieti, come ha fatto acutamente notare
Martino, ostacolano soltanto i cittadini per bene. Come se non fosse
ovvio che chi non rispetta le leggi non lo fa per diletto, ma perché pensa
di trarne vantaggio, e che il compito di qualsiasi governo è appunto quello
di rendere l’operazione un po’ meno vantaggiosa.
Invece
no. I nostri sagaci statisti hanno deciso di risolvere il problema
partendo, per comodità, dalla coda. Se non è possibile far rispettare
una certa norma, basterà abolirla e si aboliranno automaticamente in blocco
i reati relativi. Qualcosa di simile, per intenderci, a quanto si
è già fatto in tema di falso in bilancio. Per eliminare il porto
d’armi abusivo, così, basterà autorizzare la gente ad armarsi. In
seguito, nella medesima logica, si potrà combattere la criminalità organizzata
eliminando ogni remora legale alla possibilità dei criminali di organizzarsi
tra loro e si avvierà la soluzione del problema dell’evasione fiscale
decidendo che chi non paga le tasse, almeno in certi casi, non evade proprio
nulla. Anzi, forse questo l’hanno già deciso e si sono soltanto
dimenticati di dircelo
27.04.’02.