Meticciato in Lomellina

La caccia | Trasmessa il: 04/03/2005



Non si è sforzato troppo, l’ex ministro Tramonti, quando, in una delle sue frequenti esternazioni (l’ho trovato citata sul “Corriere” dell’altro ieri), ha dichiarato che, mentre alla sinistra piacciono soprattutto gli involtini primavera e il cuscus, la destra predilige di gran lunga gli spaghetti e la pizza.  Tanto per cominciare, ha detto cosa non vera, perché conosco fior di democratici di provata fede che a togliergli la pizza diventano delle belve, e, comunque, se, piccandosi, come si picca, di essere un uomo spiritoso (chissà perché), voleva riprendere il vecchio tormentone anni ’80 del cosa è di destra e cosa di sinistra, be’, la mossa di identificare la destra con l’ossequio alla tradizione nazionale e la sinistra con il gusto cosmopolita dell’esotico è francamente banale.  La metafora, se di metafora si tratta, è troppo ovvia per essere interessante.
        Bene ha fatto, dunque, il nuovo leader del riformismo italiano, l’onorevole Bertinotti, a non impancarsi in ulteriori attribuzioni di significato, limitandosi a ribattere che a lui piace la paniscia.  Si tratta, come certo saprete, di una sorta di risotto (o di minestrone denso) con verza, fagioli e l’occasionale aggiunta di altre verdure, ed essendo una vivanda tipica di quella terra tra il Sesia e il Ticino in cui Piemonte e Lombardia si confondono, non può che far risuonare una corda sentimentale nell’animo di un milanese vissuto a Torino, come è appunto il segretario di Rifondazione, che, d’altronde, nella rivalutazione del territorio vede un antidoto ai pericoli della globalizzazione.  Ma soprattutto (credete a chi, come me, vanta anche lui qualche ascendenza da quelle parti) è un piatto di rara squisitezza, il cui consumo non può che fare del bene a chiunque.  Sì, certo, nella versione originale, come la preparava mia nonna, si prevedeva l’uso del lardo in quantità tale da sgomentare chi avesse dei problemi di colesterolo, ma la globalizzazione, pur con tutti i pericoli che comporta, ha, se non altro, il merito di aver fatto conoscere anche in Lomellina l’olio extravergine, permettendo ai cuochi locali di perseguire quel sapiente equilibrio tra passato e presente in cui, a prescindere da qualsiasi problema di appartenenza politica, si sostanzia il fascino dell’alta cucina.
        E poi, prima di parlare, bisogna informarsi.  Se Tremonti  avesse esperito le necessarie indagini, avrebbe scoperto che gli involtini primavera sono, sì, una specialità cinese, ma li hanno elaborati, così come li conosciamo, i ristoratori cantonesi operanti in Europa, per cui ben poco di esotico, in definitiva, possono esprimere.  E il cuscus, anche se un politico di origini valtellinesi è autorizzato a non saperlo, si è acclimato da secoli in Sicilia, tanto da poter essere considerato senza problemi una specialità nazionale.  Gli spaghetti, come ognun sa, ce li ha portati Marco Polo dalle sue peregrinazioni in Catai e quanto alla pizza, almeno nella versione con la mozzarella, è stata inventata a fine ‘800 da un artigiano desideroso di rendere omaggio alla regina Margherita in visita a Napoli: va considerata, dunque, una innovazione recente, estranea alla vera tradizione partenopea.  In campo gastronomico, come in tutti gli altri, tradizione e innovazione sono meno distinte tra loro di quanto non si pensi di solito, ma si intersecano e si confondono in mille nodi e – ancora una volta – la possibilità di distinguerle dipende esclusivamente dai criteri che adotta l’osservatore.
        Peccato che, in questa elegante schermaglia metodologica, Bertinotti abbia voluto stravincere, citando Braudel, per cui, sembra, “spaghetti, cuscus e risotti sono cibi di contaminazione mediterranea”, il che dovrebbe renderli, pare, ancora più appetibili di quanto non siano di per sé.  È vero, probabilmente, anche se bisogna lavorarci parecchio per identificare gli elementi mediterranei della paniscia, in cui i fagioli vengono dall’America, il riso dall’Estremo Oriente e la verza dall’Europa centrale, ma sposta il discorso su un piano inutilmente erudito, complicando una criteriologia che stava in piedi benissimo anche prima.  Tremonti gli ha risposto, un po’ fiaccamente, che non vede quale contaminazione possa esserci tra la paniscia e gli involtini primavera.  Vista la rapidità e l’imprevedibilità con cui avvengono gli incroci di questo tipo, fossi in lui, prima di compromettermi ci avrei pensato due volte.

03.04.’05