Meste cerimonie

La caccia | Trasmessa il: 02/10/2008


    Tra le meste cerimonie che hanno segnato, in questi giorni, la fine anticipata della legislatura e l'affossamento contestuale di ogni residua speranza di vedere un giorno o l'altro al governo di questo paese qualcosa di vagamente simile alla sinistra , la più mesta mi è parsa la firma del decreto che, fissando una data impossibile per lo svolgimento del referendum sulla legge elettorale, ne determina il rinvio, in teoria per un anno e in pratica a tempo indeterminato, visto che la destra, che grazie al sistema vigente si appresta a stravincere, non avrà motivo, tra quattordici mesi, di rimetterlo in gioco e troverà sicuramente il modo di evitare la consultazione popolare in tal senso. Niente di particolare, eh, praticamente un atto dovuto, perché la legge esclude la celebrazione nello stesso anno di referendum ed elezioni politiche, ma una cerimonia, comunque, assai mesta. E anche, direi, significativa, nel senso che è quella in cui meglio si coglie il sostanziale disprezzo che l'intero ceto politico, in uno schieramento e nell'altro, nutre per i cittadini.

    Vedete, io, come – suppongo – la maggior parte di voi, a quel referendum ero contrario. Lo consideravo sbagliato nella sostanza e anticostituzionale nella forma, checché abbia sentenziato l'apposita Corte. Mi apprestavo a combatterlo, nei limiti che mi consente la mia attività di commentatore e pubblicista, e il mio solo problema, al momento opportuno, sarebbe stato quello di scegliere tra il no e l'astensione mirata al non raggiungimento del quorum. Ma nulla di tutto ciò mi autorizza (ci autorizza) a giubilare per come l'inciampo è stato tolto di mezzo. E lo chiamo inciampo perché tale era considerato, ormai, non solo da quelli che lo temevamo, ma persino da una certa quantità di forze e persone che lo avevano proposto o sostenuto.
    In fondo, un referendum può essere più o meno sbagliato, ma a decidere in quel senso non dovrebbe essere altro che la maggioranza degli elettori. La buona logica politica vorrebbe che, una volta che lo si sia – magari imprudentemente – indetto, poi lo si lasci svolgere, per non espropriare la totalità degli elettori medesimi del loro diritto di esprimersi, magari dicendo di no. Non parliamo di coloro che si sono presi il disturbo di firmare la relativa richiesta, assumendo lo status di “proponenti”, che non sarà un gran che, ma è sempre un modo di cercare di intervenire nella gestione della cosa pubblica, e che non ci si può limitare a dismettere con un cortese “Grazie tante, tornatevene pure a casa, ci eravamo sbagliati”. E pazienza se queste cose le fa l'onorevole (?) Fini, che del compianto referendum era fino a ieri grande sostenitore e che, adesso che ha sentito l'odore del sangue preferisce appiattirsi su Berlusconi e sulla sua legge: di uno con la sua storia politica è difficile che la coerenza sia la principale virtù. Ma gli altri? Evidentemente la fretta degli uni di arraffare il potere e degli altri di liberarsene (perché governare, si sa, stanca) era tale da non permettere neanche il breve indugio necessario all'adempimento di quella scadenza.
    Guardate che io, personalmente, per i referendum non stravedo: ritengo molto probabile, anzi, che in una logica puramente parlamentare se ne possa fare benissimo a meno. Ma a parte il fatto che di parlamentare, nella logica politica corrente, c'è ben poco, tanto è vero che chi prova ad agire in quel senso, come il povero Prodi, viene unanimamente additato per matto, sono davvero stanco dell'uso di sovrapporre alle leggi e alla costituzione formale una costituzione “materiale” ondivaga e inaffidabile, che finisce per coincidere con la volontà di chi ha il potere di imporla. È la logica per cui la legge non prevede l'elezione diretta del Presidente del Consiglio, ma Veltroni fa mettere la scritta “Veltroni presidente” nel simbolo del partito democratico e Berlusconi farà, suppongo, lo stesso. La logica per cui si chiama la gente a votare dopo aver predisposto un meccanismo che renda quanto meno difficile il rispetto dei risultati del voto. La logica per cui il referendum abrogativo è diventato misteriosamente modificativo e orientativo e quando dà fastidio si può benissimo non farlo e quando lo si fa e i suoi esiti non sono graditi (vedi il caso del finanziamento dei partiti) li si ignorano tranquillamente. È per questo, suppongo, che gli elettori, da un po', votano regolarmente contro il governo in carica e quando cade se ne compiacciono assai. Berlusconi e Veltroni, oggi, si sentono molto sicuri di sé, ma se fossi in loro ci starei attento.

    10.02.'08