Messaggi variamente autorevoli

La caccia | Trasmessa il: 10/28/2007


    Il titolo in prima pagina di “Repubblica”, martedì 23 ottobre, sembra abbastanza perentorio: “Giustizia: altolà del Quirinale”. Altrettanto perentorio è quello del “Corriere della Sera,” stesso giorno, stessa pagina: “Napolitano: indagini avanti”. La contraddizione è palese, ma, come si scopre quasi subito, solo apparente, perché sulla necessità di proseguire le indagini (quelle, si intende, avviate dalla Procura di Catanzaro) sono d’accordo tutti – anche il catenaccio di “Repubblica” attribuisce all’uomo del Quirinale un invito in tal senso – e l’altolà si riferisce semplicemente alle polemiche che ne sono nate, sull’invito a troncare le quali il “Corriere” riferisce in occhiello. Resta abbastanza significativo, comunque, che dei due principali giornali italiani l’uno sintetizzi il monito presidenziale con un “altolà” e l’altro lo faccia con un “avanti”. Forse i titolisti si sono lasciati suggestionare dalle tendenze prevalenti nelle loro redazioni: in via Cristoforo Colombo, dove ancora si tifa per Prodi, non sarebbero scontenti se a quella inchiesta, rivelatasi così destabilizzante per il governo, si ponesse celere fine, mentre in via Solferino, dove soffia più forte il vento del centro, non hanno niente in contrario a che si vada avanti a oltranza. Entrambi i giornali, come d’uso, utilizzano a sostegno dei propri auspici le parole del Presidente della Repubblica e non hanno remore particolari a forzarne un poco il significato.
    Quanto a Napolitano, che assai difficilmente avrebbe potuto invitare a proseguire nelle polemiche e a interrompere le indagini, non ha detto nulla di particolarmente significativo. Si è limitato, come sempre, a un paio di eleganti banalità, di quelle su cui non è possibile non essere d’accordo tutti e che tutti cercano, appunto, di interpretare nel modo più consono ai propri interessi. Non ha neanche detto quello che, come ogni persona ragionevole, probabilmente pensa: che Di Pietro è un politico mediocre, tormentato da una sorta di patetica nostalgia del consenso che accompagnava, ai tempi, la sua attività di pubblico ministero; che Mastella è un noto specialista del voto di scambio, ma ogni tanto esagera e che di certi magistrati di ambo i sessi sempre in cerca di popolarità nonostante i labili indizi di cui dispongono non se ne può proprio più. Non ci ha detto, insomma, quello che pensiamo tutti, non solo perché sarebbe inutile, ma perché il suo ruolo glielo preclude. Lui può dirci soltanto quello che dovremmo pensare se vivessimo in un paese serio, un paese in cui la lotta politica fosse qualcosa di diverso da una serie di intrighi con complicazioni giudiziarie. Perché ammetterete anche voi che, a parte il povero Prodi, correttamente aggrappato al mandato ricevuto dagli elettori (e peccato non sia stato un mandato un po’ più generoso) l’unica persona seria, nel gran casino cui ci tocca assistere, resta Berlusconi, fermo nella richiesta di andare subito al voto, che è un’istanza affatto legittima per chi ha motivo di credere di poterne trarre vantaggio. Gli altri, a destra come a sinistra, sono palesemente disposti a fare di tutto, ma proprio tutto, perché a questo esito non si vada. Non è necessario essere il Presidente della Repubblica per mandare un messaggio e se ci badate non c’è una proposta corrente, riguardi il sistema elettorale tedesco o la necessità di immediate riforme istituzionali (tutte cose, in sé, lecite e meritevoli), che non ne rivolga uno a chi ha, per intendere, le classiche orecchie, che non comporti, in ultima analisi, la sollecitazione dei più sconci connubi con la controparte. Il che significa che a essere in vendita non sono soltanto quei sei o sette senatori di cui si mormora, ma è tutto il sistema politico, compresi – si intende – i nostri voti. Che l’Italia fosse la patria del trasformismo lo sapevamo già, ma a tutto dovrebbe esserci un limite. Invece, evidentemente, no.