Meglio peccatori

La caccia | Trasmessa il: 05/18/2008


    In Viaggio in Paradiso, un singolare romanzo breve che Mark Twain scrisse nel 1870, ma riuscì a pubblicare soltanto nel 1909, si raccontano le vicende ultraterrene di un vecchio lupo di mare, il capitano Stormfields. Costui, dopo il trapasso, scopre non senza stupore di essere destinato, appunto, al Paradiso. Tuttavia, durante il volo alla la meta finale, devia per caso dalla rotta e arriva così a un ingresso diverso da quello riservato a noi umani. L'Universo, gli spiegano, è immenso, i pianeti abitati sono una moltitudine, le anime che ne affluiscono innumerevoli, e, insomma, lì non hanno la minima idea di dove o cosa sia la Terra e a quali costumi celesti credano i suoi abitanti. In particolare, in quel settore del Regno dei Cieli nessuno si sognerebbe di andare in giro con ali e aureola, indossando un camicione bianco e suonando l'arpa. Il povero Stormfields cerca di cavarsela balbettando che il suo mondo è quello “salvato dal Redentore”, ma il funzionario addetto all'accoglienza, dopo aver assunto una espressione di “profondo rispetto”, gli spiega che anche i mondi redenti dal Figlio di Dio sono innumerevoli, per cui quella precisazione non gli serve a nulla.
    È un bell'esempio, questo, dello spirito con cui l'autore sottopone alla critica del più elementare razionalismo positivista – ma potremmo dire anche del semplice buonsenso – la teologia ingenua che veniva allora ammannita alle masse cristiane, con particolare riferimento alle “scuole domenicali” organizzate dalle congregazioni protestanti (ma il discorso varrebbe anche per il catechismo cattolico di allora). Come vada a finire la storia, chi ha letto il libro lo sa e non voglio togliere agli altri il piacere di scoprirlo per conto proprio. Sempre, naturalmente, che riescano a mettere le mani sul volume, perché quel testo, che non contiene una sola parola men che rispettosa verso la religione, i suoi simboli e le sue divinità, è sempre stato considerato un'opera gravemente eversiva e fu a lungo combattuto, vilipeso e boicottato, come dimostra l'intervallo stesso di trentanove anni che divide la data di composizione da quella dell'uscita in libreria.
    La citazione, comunque, mi è venuta in mente quando ho letto, sul “Corriere” di mercoledì, dell'intervista concessa all' “Osservatore romano” dal gesuita argentino José Gabriel Funes, teologo e astrofisico insigne, che, su incarico diretto di Ratzinger, dirige dal 2006 la Specola vaticana. Anche lui, in effetti, si sforza di non perdere di vista la logica di tutti i giorni. “Come esiste una molteplicità di creature sulla terra” ha dichiarato “così potrebbero esserci altri esseri, anche intelligenti, creati da Dio. Questo non contrasterebbe con la nostra fede, perché non possiamo porre limiti alla libertà creatrice di Dio.” Per cui, continua, “si può ammettere l'esistenza di altri mondi e altre vite, anche più evolute della nostra, senza per questo mettere in discussione la fede nella creazione, nell'incarnazione e nella redenzione.”
    Il problema, ovviamente, è degno di nota, ma anche un po' imbarazzante e non c'è da stupirsi se non figura tra quelli più ampiamente dibattuti. Per quanto ne so io, se ne sono occupati di rado gli scrittori di fantascienza – ma ricorderete tutti La stella, lo straordinario racconto del 1955 di Arthur C. Clarke, in cui pure si tratta di un gesuita astrofisico – e ancor più di rado i teologi. Il motivo di questa reticenza è sempre quello infallibilmente individuato da Twain e se lo pone anche l'intervistatore di padre Funes: ma da chi potrebbero essere stati redenti questi alieni? Nessun problema, risponde il buon gesuita: “Non è detto che essi debbano aver bisogno della redenzione. Potrebbero essere rimasti nell'amicizia piena con il loro Creatore.” Ma se anche fossero peccatori, tranquilli: “Anche loro, in qualche modo, avrebbero la possibilità di godere della misericordia di Dio.”
    Ovviamente, a questo punto il discorso prende una via sulla quale non sono in grado di seguirlo. Ma vi confesso che trovo comunque un po' inquietante l'ipotesi implicita di un universo ancora pienamente soffuso dalla Grazia divina, in cui l'unico elemento peccaminoso, bisognoso di Redenzione (e di tutti gli apparati coattivi e punitivi che la Redenzione non ha eliminato, né in questo mondo né nell'altro, tipo l'Inquisizione e l'Inferno) siamo noi. Che rapporti potremmo avere, noi umani peccatori, con quei nostri remoti fratelli immuni da qualsiasi rischio di tentazione e caduta? E come ci considererebbero loro: degli infelici da confortare e aiutare o una fonte possibile d'infezione da estinguere? E un eventuale contatto avrebbe l'effetto di diffondere il peccato in un Universo innocente o quello di portare la Santità su questa povera Terra, che ne avrebbe, come sappiamo tutti, un grande bisogno?
    La Chiesa, si sa, ha rinunciato da tempo all'originaria concezione geocentrica, ma non ha ancora affrontato di petto il problema dell'infinità dell'Universo. Comunque la si definisca in termini scientifici, quell'idea nasce con Giordano Bruno e si porta dietro, quindi, un sentore di bruciaticcio da cui è meglio tenersi alla larga. Ma visto che non si sa mai quali scoperte impreviste possano venire a cambiare il panorama della cosmologia, è sempre meglio lasciarsi qualche via aperta e questo padre Funes sembra appunto uno studioso addetto a tale bisogna. Ma non mi sembra agisca con la necessaria radicalità: avrete notato anche voi che, pur avendo mandato in pensione qualsiasi ipotesi di centralità della Terra, non rinuncia a quella di una qualche specificità dell'Uomo, al recupero di quella blanda forma di antropocentrismo non dichiarato su cui, in sostanza, continua a fondarsi la dottrina. E per sanare il contrasto trova una soluzione quasi geniale: se l'Uomo proprio deve essere unico, se si ritiene necessario che si contraddistingua per qualcosa di assolutamente peculiare, potrebbe trovarlo nella sua natura di unico peccatore (redento) del Cosmo. È una idea anche questa, nonché una singolare ipotesi identitaria: nell'Universo dell'aldiquà saremmo inesorabilmente a disagio, indegni della compagnia che ci attende, ma all'Inferno ci ritroveremmo, ancora una volta, tutti e soltanto noi.
18.05.'08

    Nota

    Viaggio in Paradiso (Captain Stormfields Visit to Heaven), è stato pubblicato in Italia dalla Longanesi nel 1965, illustrato da deliziosi disegni dello stesso Leo Longanesi. La stella (The star), apparso nel nostro paese una prima volta in “Le Grandi Storie della Fantascienza”, n. 17, Milano, Bompiani 1955, è reperibile in Il secondo libro della Fantascienza, a c. d. C. Fruttero e F. Lucentini, Torino, Einaudi 1961, più volte ristampato.