Manifesti speculari

La caccia | Trasmessa il: 02/11/2001



Uno sta all’estero qualche tempo, poi torna e si guarda in giro per vedere che cosa è cambiato.  A prima vista, non è cambiato un granché.  La solita gente in giro, i soliti manifesti di Berlusconi.  Poi, mentre riflette sul fatto che quel Berlusconi in maglione con la faccia vissuta è, tutto sommato, più simpatico di quello, stiratissimo, che campeggiava sui muri prima di capodanno, si accorge che, qua e là, e nelle debite proporzioni quantitative, si vedono anche dei manifesti di Rutelli.   Degli eleganti manifesti a base cromatica verde, in cui si spiega che loro – i rutelliani, suppongo – hanno sempre difeso l’ambiente e che da lui dipende il nostro futuro.
        Bah.  Che dalla difesa dell’ambiente dipenda il nostro futuro è un’affermazione su cui, tutto sommato, è difficile non concordare (anche se, naturalmente, si potrebbe sostenere con pari credibilità che è dal futuro che ci costruiremo che dipenderà l’ambiente).  Ma quel che impedisce, comunque, di sottoscrivere toto corde l’affermazione è la presenza di quel pronome, di quel “lui” che, nel corretto uso italiano, non può riferirsi all’ambiente, potendosi applicare, come si leggeva nelle vecchie grammatiche, solo ai soggetti animati.  E da quale soggetto animato dipenderà mai il nostro futuro?  Da Rutelli?  Difficile.  Se i seguaci di Berlusconi sono disposti ad attribuire ogni possibile bene a venire all’attività salvifica del loro leader, noi, che ci gioviamo di una cultura diversa, preferiremmo dipendere, per il nostro futuro, soprattutto da noi stessi.
        Mi dicono che il problema è già stato posto e superato.  Una banale questione grammaticale.  Ma forse meno banale è la questione che pongono quegli altri manifesti del nostro, quelli con cui il sindaco del Giubileo ci garantisce, tra l’altro, più sicurezza e “una giustizia più giusta”.  Due bellissime cose, naturalmente, perché di sicurezza non ce n’è mai abbastanza e di una magistratura in grado di fare giustizia senza che sia necessario, ogni volta, usare le virgolette si sente davvero bisogno, ma due cose che, senza le opportune precisazioni, ricordano molto gli slogan dell’altra parte.  Chi erano quelli che, fino a ieri, si lamentavano per il dilagare della delinquenza e attaccavano caparbiamente una gestione delle cose giudiziarie sentita come persecutoria nei loro riguardi?  Se il problema esiste per tutti, le soluzioni proposte dovrebbero essere diverse.  E non si vede proprio traccia, in questo inizio ufficiale della campagna elettorale, di qualsivoglia diversità.
        Sì, d’accordo, ribattono i manifesti del primo partito della sinistra, ma il nostro, non dimentichiamocene, è il “polo positivo”.   Che sarà vero, figuriamoci, ma significa anche accettare e far propria una strutturazione degli schieramenti politici proposta, a suo tempo, proprio dall’avversario.  Fu Berlusconi, nel ’94, che, non potendo sostenere che le organizzazioni che lo sostenevano formavano una coalizione, o  un’alleanza, perché all’epoca la Lega era fieramente antifascista e AN era rigidamente votata all’ideale unitario, decise, con brillante improvvisazione semantica, che costituivano un polo.  Il che, essendo un polo, nell’uso metaforico invalso, qualcosa attorno a cui ci si organizza o ci si definisce, voleva dire che si trattava di un insieme di forze eterogenee che avevano in comune soltanto il fatto di appoggiare lui.  E la sinistra, che pure avrebbe qualche argomento per definirsi in termini ideali e programmatici, deve proprio ridursi a un polo ruotante attorno a un leader carismatico?  E chi mai glielo fa fare?
        Sarò il solito pessimista, ma da queste prime contrapposizioni a specchio non mi sembra di poter inferire niente di buono.
11.02.’01