Chissà come faranno gli alti comandi militari e politici della NATO a giustificare
la loro evidente volontà di ignorare la disponibilità alla trattativa segnalata
venerdì da Belgrado. Probabilmente non ci proveranno neanche: la
ignoreranno e basta. Del resto, adesso che i leader nemici sono stati
ufficialmente etichettati come criminali di guerra, è abbastanza ovvio
che con loro trattare non si può. Non si può far altro che continuare
i raid (cercando di centrare, possibilmente, qualche obiettivo succoso,
di quelli che bloccano qualsiasi diplomazia) e preparare l’invasione
di terra. È di ieri la notizia per cui le forze armate degli Stati
Uniti hanno ordinato a una ditta texana la bellezza di novemila Purple
Hearts, i “cuori di porpora”, le decorazioni al merito destinate ai caduti
e ai protagonisti di gesti eroici in combattimento. Visto che, secondo
le ultime indiscrezioni, il contingente di terra USA non dovrebbe superare
le settemila unità, non si può fare a meno di ammirare lo spirito egualitario
che anima, anche da questo punto di vista, la grande democrazia nordamericana.
È strana, però, questa incriminazione di Milosevic
e dei suoi collaboratori, pronunciata da un organismo formalmente indipendente,
come la Corte Penale Internazionale dell’Aia, ma fortemente voluta dalla
NATO e dal governo americano in particolare. Non perché sia inconsueto
che chi è in guerra attribuisca al nemico il ruolo del criminale, o peggio,
ma perché questa volta si è ricorso a una pronuncia formale, fondata su
un certo numero di convenzioni internazionali e se una cosa, finora, aveva
caratterizzato il comportamento della NATO era stata proprio la più completa
indifferenza a quanto le convenzioni internazionali in caso di guerra prescrivono.
Questa guerra è stata caratterizzata fin dall’inizio da una
singolare dicotimia tra l’asserita moralità dei fini (si è parlato di
“guerra giusta”, di “guerra umanitaria”, di lotta del bene contro il
male e il ministro USA della difesa, William Cohen, ha persino dichiarato
che gli alleati combattono “per consolidare la civiltà del prossimo millennio”)
e l’assoluto disprezzo per la legalità internazionale. È una guerra
che nessuno si è preoccupato di dichiarare o, per chi di guerra preferisce
non parlare, un’azione di polizia internazionale su cui non si è mai pronunciato
alcun organo che a ciò fosse legittimato. Molti paesi coinvolti,
il nostro in testa, vi partecipano in contraddizione con le loro stesse
leggi (l’Italia viola l’art. 11 della sua Costituzione, gli USA le norme
che vietano un intervento in guerra senza un voto del Congresso, la Germania
le disposizioni sull’uso delle forze armate contenute nella Grundgesetz
e via dicendo). E la NATO, naturalmente, non si perita di adottare
tecniche e strumenti che apposite convenzioni mettono al bando, come i
bombardamenti sugli obiettivi civili non giustificati da esigenze militari
o l’uso delle bombe a frammentazione.
Ammetterete che, quali che siano le colpe di
Milosevic e dei suoi, una pretesa di legalità riferita a una sola parte
è, per lo meno, singolare. Afferma, in sostanza, la convinzione di
chi ritiene che le proprie azioni, per un motivo o per l’altro, siano
giustificate in partenza e quindi ineccepibili anche dal punto di vista
formale. La pretesa, in altre parole, di incarnare l’unica legalità possibile,
di sequestrare a proprio vantaggio la legalità. E questo, a sua volta,
non è altro che l’espressione di una volontà di dominio, della convinzione
di poter comandare secondo le proprie regole, giudicando gli altri, ma
senza permettere che nessuno giudichi te, perché le norme, si sa, valgono
soltanto per gli altri. Un imbarbarimento della nozione stessa di
diritto e una conferma del fatto che tra diritto e guerra – checché se
ne dica – non c’è proprio niente in comune.
* * *
A proposito di imbarbarimento. Permettetemi di citare, senza commenti,
un annuncio pubblicitario apparso sulle pagine milanesi di “Repubblica”
del 28 maggio. “Non aspettate l’ultimo minuto” raccomanda, “perché
con la guerra la SARDEGNA È L’ISOLA PIÙ RICHIESTA D’EUROPA”. Segue
una serie di offerte alberghiere e balneari.
Da sempre, tra le rovine si aggirano gli sciacalli.
30.05.’99