L'isola non comprata

La caccia | Trasmessa il: 02/18/2001




I giornali hanno riferito, con una certa sfumatura di affettuosa ironia, del sogno perduto di Silvio Berlusconi, come l’ha raccontato  lunedì scorso alla trasmissione del fido Bruno Vespa.  Abbiamo appreso, in quella sede, che anni fa all’attuale leader dell’opposizione sarebbe tanto piaciuto avere un’isola tutta per sé, e, anzi, ne aveva già adocchiato una, Mayreau, nelle Grenadine meridionali, nei Caraibi orientali, e le trattative per l’acquisto erano già a buon punto quando i comunisti fecero la rivoluzione a Grenada, da cui le Grenadine dipendono, e non se ne fece più nulla.   Una storia semplice e in qualche modo commuovente, che ha permesso a Vespa di commentare, sornione, “Ah, ecco perché ce l’ha tanto con i comunisti ”, servendo al cavaliere su un piatto d’argento la possibilità di ribattere che no, lui è contro i seguaci di quella parte politica perché sono brutti e cattivi, mangiano i bambini in fasce e fanno una quantità di altre cose nefande.

       Questo squarcio di vita vissuta, giudizi politici a parte, ha offerto a quasi tutti i commentatori l’occasione di una presa in giro, tutto sommato, benevola.  Se è difficile, infatti, fraternizzare davvero con chi si duole per il mancato acquisto di un’isola, resta il fatto che scoprire che anche il cavaliere ha avuto le sue brave delusioni rende meglio disposti nei suoi confronti.  Lo fa sembrare, per così dire, più umano.  Tutti, in fondo, a una certa fase del nostro sviluppo, abbiamo sognato di avere la nostra isola, l’isola di cui poter essere, a seconda dei casi, il Robinson Crusoe, il Sandokan o il Capitano Nemo.  Chissà: se Berlusconi avesse davvero avuto Mayreau per giocarci, forse in seguito non avrebbe sentito il bisogno di diventare quello che è diventato.  E poi, si sa, di tutte le isole quella non comperata, se ci è permesso parafrasare Gozzano e Guccini, resta sempre la più bella.

       Quello che però non ha fatto nessuno è stato controllare i fatti.  Perché non sarebbe stato necessario uno sforzo particolare di ricerca per scoprire che “i comunisti”, qualsiasi significato si voglia dare all’appellativo, la rivoluzione a Grenada non l’hanno fatta mai.  In quell’isola, la più meridionale del Mar delle Antille, un tipico paradiso tropicale in cui a vivere come in paradiso sono soltanto i turisti, perché i locali, costretti a dipendere quasi esclusivamente della coltivazione della noce moscata, se la passano piuttosto male, in quell’isola – dunque – un colpo di stato effettivamente si è verificato, ma non lo hanno fatto le sinistre.  Quelle, anzi, erano andate al potere nel più pacifico e incruento dei modi, in seguito a un normalissimo ribaltone parlamentare, che aveva portato al governo, il 13 marzo del ’79, Maurice Bishop, leader di un movimento che si definiva “Iniziativa unita per il benessere, l’educazione e la liberazione”.   Il nuovo regime aveva impostato un certo programma di riforme sociali e aveva allacciato, qualche mese dopo, i rapporti diplomatici con Cuba, ma da questo a fare la rivoluzione, naturalmente, ce ne corre, tanto è vero che il piccolo stato aveva continuato a far parte del Commowealth e a riconoscere come legittimo sovrano la regina Elisabetta.   A rivoluzionare la situazione furono, manco a dirlo, gli americani, nel senso del governo degli Stati Uniti, che quattro anni dopo mandarono un corpo di spedizione, occuparono militarmente la capitale, abbatterono il governo legittimo e ne imposero uno di loro gradimento.  A questo punto, se Berlusconi fosse stato ancora interessato alla sua isola, probabilmente gliene avrebbero offerto due al prezzo di una e se non si fece più avanti avrà avuto i suoi motivi.

       Be’, direte voi, non sarà stato quello il modo di raccontare la storia, ma, trattandosi di Berlusconi, non c’è da stupirsene.  Che il presidente di Forza Italia consideri un’insopportabile prevaricazione qualsiasi avvicinamento della sinistra al governo e veda come benefica e legittima qualsiasi azione volta ad allontanarla dal medesimo è fin troppo noto.  E non è, peraltro, un’idea solo sua: è un punto di vista largamente diffuso, che sta alla base dei vari Patti Atlantici e delle varie Gladio disseminate nel libero Occidente.  Per non dire, naturalmente, di interventi un po’ più clamorosi che a Grenada, come quello in Grecia nel ’67 e quello in Cile nel ’73.  La democrazia, per quanti seguono questa linea di pensiero, vale soltanto finché sono fatti salvi i loro personali interessi.  E se si impedisce che un onesto imprenditore abbia la sua brava isola, dove andremo a finire?

       Niente di cui stupirsi, quindi, e infatti nessuno se n’è stupito.   Ma, Sant’Iddio, che proprio nessuno, a sinistra come a destra, abbia sentito il bisogno di precisare i fatti, a me fa ancora un po’ impressione.  La remissività storica dev’essere uno degli effetti collaterali del pensiero unico.


Carlo Oliva, 18.02.’01