I giornali hanno riferito, con una certa sfumatura di affettuosa ironia,
del sogno perduto di Silvio Berlusconi, come l’ha raccontato lunedì
scorso alla trasmissione del fido Bruno Vespa. Abbiamo appreso, in
quella sede, che anni fa all’attuale leader dell’opposizione sarebbe
tanto piaciuto avere un’isola tutta per sé, e, anzi, ne aveva già adocchiato
una, Mayreau, nelle Grenadine meridionali, nei Caraibi orientali, e le
trattative per l’acquisto erano già a buon punto quando i comunisti fecero
la rivoluzione a Grenada, da cui le Grenadine dipendono, e non se ne fece
più nulla. Una storia semplice e in qualche modo commuovente, che
ha permesso a Vespa di commentare, sornione, “Ah, ecco perché ce l’ha
tanto con i comunisti ”, servendo al cavaliere su un piatto d’argento
la possibilità di ribattere che no, lui è contro i seguaci di quella parte
politica perché sono brutti e cattivi, mangiano i bambini in fasce e fanno
una quantità di altre cose nefande.
Questo squarcio di vita vissuta, giudizi politici
a parte, ha offerto a quasi tutti i commentatori l’occasione di una presa
in giro, tutto sommato, benevola. Se è difficile, infatti, fraternizzare
davvero con chi si duole per il mancato acquisto di un’isola, resta il
fatto che scoprire che anche il cavaliere ha avuto le sue brave delusioni
rende meglio disposti nei suoi confronti. Lo fa sembrare, per così
dire, più umano. Tutti, in fondo, a una certa fase del nostro sviluppo,
abbiamo sognato di avere la nostra isola, l’isola di cui poter essere,
a seconda dei casi, il Robinson Crusoe, il Sandokan o il Capitano Nemo.
Chissà: se Berlusconi avesse davvero avuto Mayreau per giocarci,
forse in seguito non avrebbe sentito il bisogno di diventare quello che
è diventato. E poi, si sa, di tutte le isole quella non comperata,
se ci è permesso parafrasare Gozzano e Guccini, resta sempre la più bella.
Quello che però non ha fatto nessuno è stato
controllare i fatti. Perché non sarebbe stato necessario uno sforzo
particolare di ricerca per scoprire che “i comunisti”, qualsiasi significato
si voglia dare all’appellativo, la rivoluzione a Grenada non l’hanno
fatta mai. In quell’isola, la più meridionale del Mar delle Antille,
un tipico paradiso tropicale in cui a vivere come in paradiso sono soltanto
i turisti, perché i locali, costretti a dipendere quasi esclusivamente
della coltivazione della noce moscata, se la passano piuttosto male, in
quell’isola – dunque – un colpo di stato effettivamente si è verificato,
ma non lo hanno fatto le sinistre. Quelle, anzi, erano andate al
potere nel più pacifico e incruento dei modi, in seguito a un normalissimo
ribaltone parlamentare, che aveva portato al governo, il 13 marzo del ’79,
Maurice Bishop, leader di un movimento che si definiva “Iniziativa unita
per il benessere, l’educazione e la liberazione”. Il nuovo regime
aveva impostato un certo programma di riforme sociali e aveva allacciato,
qualche mese dopo, i rapporti diplomatici con Cuba, ma da questo a fare
la rivoluzione, naturalmente, ce ne corre, tanto è vero che il piccolo
stato aveva continuato a far parte del Commowealth e a riconoscere come
legittimo sovrano la regina Elisabetta. A rivoluzionare la situazione
furono, manco a dirlo, gli americani, nel senso del governo degli Stati
Uniti, che quattro anni dopo mandarono un corpo di spedizione, occuparono
militarmente la capitale, abbatterono il governo legittimo e ne imposero
uno di loro gradimento. A questo punto, se Berlusconi fosse stato
ancora interessato alla sua isola, probabilmente gliene avrebbero offerto
due al prezzo di una e se non si fece più avanti avrà avuto i suoi motivi.
Be’, direte voi, non sarà stato quello il
modo di raccontare la storia, ma, trattandosi di Berlusconi, non c’è da
stupirsene. Che il presidente di Forza Italia consideri un’insopportabile
prevaricazione qualsiasi avvicinamento della sinistra al governo e veda
come benefica e legittima qualsiasi azione volta ad allontanarla dal medesimo
è fin troppo noto. E non è, peraltro, un’idea solo sua: è un punto
di vista largamente diffuso, che sta alla base dei vari Patti Atlantici
e delle varie Gladio disseminate nel libero Occidente. Per non dire,
naturalmente, di interventi un po’ più clamorosi che a Grenada, come quello
in Grecia nel ’67 e quello in Cile nel ’73. La democrazia, per
quanti seguono questa linea di pensiero, vale soltanto finché sono fatti
salvi i loro personali interessi. E se si impedisce che un onesto
imprenditore abbia la sua brava isola, dove andremo a finire?
Niente di cui stupirsi, quindi, e infatti nessuno
se n’è stupito. Ma, Sant’Iddio, che proprio nessuno, a sinistra
come a destra, abbia sentito il bisogno di precisare i fatti, a me fa ancora
un po’ impressione. La remissività storica dev’essere uno degli
effetti collaterali del pensiero unico.
Carlo Oliva, 18.02.’01