L'esibizione dell'apparenza

La caccia | Trasmessa il: 12/02/2007


    Una mattina – sarà state un paio di settimane fa – mi sveglio, vado alla finestra, apro le tapparelle e vedo un gruppo di operai che, con camion e scale, stanno drappeggiando lungo la via dei festoni di lampadine. Un fatto, direte voi, in cui non c'è nulla di strano: è da tempo che già a mezzo novembre le strade della città sono festonate di luci, per ricordarci, inseme agli spot del Banco di Garabombo qui a Radio Popolare, che è cominciata una volta di più la lunga volata verso le feste. D'accordo, quindi, lo spettacolo è normale per la stagione, ma... ma, nel caso della via dove abito c'è una differenza che vale la pena di notare. Quelle decorazioni luminose, di solito, caratterizzano i percorsi dello shopping, le vie lungo i cui marciapiedi si susseguono le botteghe e i negozi e i passanti accorrono in massa a sbirciare le relative vetrine: credo, anzi, che siano volute, promosse e pagate proprio dalle varie associazioni di commercianti, che sperano, grazie a quella esibizione di luci, di incrementare i propri affari. La tecnica è un po' quella dei pescatori, che accendono le lampare per attirare nella rete la preda e, in teoria, la pratica dovrebbe essere severamente condannata, se non vietata per legge, perché oltre a rappresentare in sé un evidente spreco di risorse energetiche, invita il popolo a ulteriori, inutili dissipazioni, ma tant'è, ormai ci siamo abituati e ingoiamo senza protestare anche questo.
    Nella via di cui vi parlo, però, di botteghe non ce ne sono. È quella che una volta, prima che la trasformassero in una specie di autostrada a scorrimento veloce, si sarebbe definita una via residenziale, sapete, in posizione un po' defilata, ma abbastanza centrale, con i marciapiedi ampi e dignitosamente alberati e, per gran parte del suo percorso, senza negozi. Oggi, naturalmente, gli alberi, soffocati dalle automobili e dalle relative emissioni, sono in stato di avanzata agonia, il traffico, qui convogliato in gran copia da un ingegnoso sistema di sensi obbligati e divieti di accesso, scoraggia qualsiasi tentativo di deambulazione per diletto e gli unici pedoni che si vedono in quantità apprezzabile sono quelli che, due volte all'anno, percorrono ansando il centro della carreggiata diretti al traguardo della “Stramilano” e della Maratona. Di sera e di notte, poi, la presenza in zona viciniore di una quantità francamente eccessiva di locali alla moda attira un numero altrettanto esagerato di cultori del rito dell'aperitivo e del drink dopo cena, trasformando tutta l'area in un informe parcheggio, in gran parte abusivo, che riesce a sigillare tutti noi residenti in casa e a bloccare qualsiasi residua possibilità di movimento. Quelle luminarie, quindi, non hanno nessuna funzione. Non c'è alcuna meta in cui possano attirare qualcuno, né di giorno né di notte. Non servono a nulla, se non a illuminare, quando viene il buio, quei poveri alberi spelacchiati e ischeletriti, le macchine parcheggiate in doppia fila, sui passi carrai e al centro della strada e il caos urbanistico che da tutta questa situazione deriva.
    Chi si è preso il disturbo di installarle, allora, e ha sostenuto la relativa spesa? Be', non c'è dubbio. La vox populi e quella degli operai installatori, opportunamente interrogati, è unanime. L'idea è stata della Moratti. Lei vuole che tutta la città, per le feste, risplenda di luce bianca, e, negozi e non negozi, ha disposto che ovunque venissero collocate le luminarie. Anche nelle zone, come quella in cui abito io, in cui sarebbe stato più logico spegnere tutto, compresi i lampioni, nella speranza che l'oscurità ingoiasse pietosamente le brutture in mezzo alle quali ci tocca vivere.
    Questo significa, naturalmente, che quello sfarzo di luce lo pagheremo noi, visto che non credo che la sindaca, come gli antichi evergeti, sostenga di persona le spese di abbellimento urbano. Ma non è questo il punto, perché suppongo che a concorrere a una vera opera di abbellimento della nostra città, a un sostanziale restyling che ne illegiadrisca, per quanto possibile, l'aspetto, saremmo disposti tutti. Il problema è che questo festoni di lampadine (o di led,non so bene, che adesso sono stati accesi e producono, notte e giorno, un fastidioso sfarfallio intermittente) non illegiadriscono alcunché. Sono una specie di palliativo, un velo pretenzioso ma volgare e di poco prezzo gettato su delle brutture che, non che nascoste, ne sono drammaticamente evidenziate. Esprimono la fiducia nella possibilità, non potendosi, per questo o quel motivo, intraprendere alcuna vera opera di risanamento, di ingannare l'occhio dei cittadini e dei visitatori con la mera apparenza, abbagliandoli con qualche festone di luce e con l'esibizione di sciocchi ninnoli colorati.
    Questa, d'altronde, è la politica costante di chi amministra la nostra città (e non solo la nostra). Milano, come può constatare qualsiasi milanese appena appena obiettivo, sta andando da tempo allo sfascio. Privata della sua funzione storica di polo industriale e manifatturiero e della relativa centralità commerciale, ridotta a doversi arrangiare con un terziario futile e precario (più precario, forse, di quanto non sembri), si sta, per così dire, sfaldando, perde i pezzi a poco a poco . Ne fanno fede non solo le vie maltenute, i cantieri bloccati a tempo indeterminato, il traffico che impazzisce ogni volta che piove, i servizi urbani sempre più carenti, la brutalità e la scortesia dei pubblici funzionari, ma anche e soprattutto la sempre più rigida divisione in zone – alcune privilegiate, altre abbandonate senza scrupoli a un destino da Terzo Mondo, – l'ostentazione sempre più evidente della stratificazione sociale e degli orpelli relativi, con il correlato pullulare, ai margini dei luoghi dove si esibisce spudoratamente la ricchezza, di disperati, questuanti e accattoni di ogni tipo. Per non dire che nell'anno che sta per concludersi quella che una volta era la capitale dell'accoglienza e dell'integrazione ha avuto il dubbio privilegio di essere la prima città italiana in cui siano scoppiati dei veri e propri riots razziali. E su tutto questo chi dovrebbe governarci si limita a spargere dei gadget illusori, dei festoni di luci – appunto, – nella speranza che siano quelli, e non altro, a focalizzare l'attenzione. È il trionfo dell'apparenza sulla sostanza, della volontà di propaganda sulla capacità di realizzazione, perché è più facile, naturalmente, far affiggere ovunque dei grandi manifesti che annuncino un luminoso futuro di linee della metropolitana, piste ciclabili, verde urbano, servizi sociali e chissà che altro che mettere mano nel concreto ai relativi progetti. È la logica che culmina nella candidatura a ospitare la Esposizione Universale, nel presupposto un tale obiettivo basti qualificare come metropoli quella che, ormai, è diventata una modesta città di provincia. Francamente, se penso a quello che l'Expo significherebbe in termini di sperperi, esibizioni, futilità varie e – soprattutto – di accentuazione delle differenze, non posso fare a meno di sperare che vada altrove. Sì, mi spiacerebbe un po' che finisse a Smirne, che è stata la sede, meno di un secolo fa, di una delle grandi catastrofi umanitarie della storia, di un autentico genocidio che il governo turco è riuscito a far dimenticare, ma non da tutti, ma se venisse a Milano, che devo dirvi, lo troverei molto peggio. E visto che al peggio, con questa classe dirigente, non c'è limite, prepariamoci all'assalto finale e che gli dei ce la mandino buona.