L'erede di Doris Day

La caccia | Trasmessa il: 02/17/2008


    Forse gli ascoltatori meno giovani ricorderanno quelle commedie hollywoodiane degli anni '50 in cui l'eroina, interpretata – di solito – da Doris Day o da qualcuna delle attrici che a lei si ispiravano, doveva respingere le avances di un pretendente di bell'aspetto, pur avendo ella stessa, sotto sotto, non poca propensione a concedergli ciò che lui tanto desiderava. Ogni tanto ne passa ancora qualcuna in TV nelle reti minori e, d'estate, anche nei canali nazionali. Il modello narrativo, naturalmente, è scontato e la situazione è, come minimo, superata, ma con un poco di buona volontà ci si può ancora divertire. E quelle storie, comunque, non sono prive di una loro nobiltà letteraria, derivando in ultima analisi dal feuilleton (anche se lì la situazione era svolta, di solito, in tono drammatico) e, attraverso di esso, dal grande romanzo borghese dell'Ottocento, in cui il contrasto tra inclinazioni personali e obbligazioni collettive era uno dei temi di fondo. Vicende di questo tipo, oltre a far ridere i nostri padri, hanno commosso i nostri nonni e intenerito fino alle lacrime le nostre bisnonne, che in quei tormenti stereotipati non potevano non ritrovare una esperienza allora fin troppo condivisa.

    Gli appassionati del genere, in ogni caso, hanno avuto nella settimana scorsa la rara occasione di rivivere quello schema nella realtà dell'informazione politica. Bastava sostituire ai tratti di Doris Day quelli dell'onorevole Casini – e una certa somiglianza tra i due, a cercarla, la si può anche trovare – e immaginarsi il Berlusca nei panni di Rock Hudson o di chi per lui. L'accanimento con cui l'aitante Pierferdi difendeva il suo simbolo, a rischio di dover rinunciare all'agognato apparentamento con il fronte del centrodestra, si poteva benissimo leggere in chiave di commedia rosa, con qualche venatura di patetismo. Pensate a quel continuo rinviare il momento della decisione, a quegli sforzi per lasciare aperto almeno uno spiraglio, a quegli inviti reiterati a che l'aspirante seduttore si adattasse all'unico passo che la virtù della controparte poteva prendere in considerazione... Sono tutte situazioni che il cultore di commedie rosa conosce fin troppo bene. Ma il parallelismo, ahimè, non si è spinto fino al finale, in cui – contro ogni attesa – le campane nuziali non sono squillate e il nostro eroe è rimasto, se non proprio sedotto e abbandonato come in un feuilleton, per lo meno malinconicamente illibato. Ammesso che di quell'aggettivo, politicamente parlando, lo si possa ancora gratificare.
    Siccome il nostro è un mondo malvagio, di questa conclusione (presupponendo che resti tale) e della sua virtuosa malinconia si sono compiaciuti tutti. A destra, perché i molti che alle pretese berlusconesche hanno ceduto senza neanche fingere la ritrosia d'uso si trovano confortati nella loro scelta, e a sinistra, perché taluni sperano, a quanto sembra, che la defezione della UDC indebolisca lo schieramento opposto di quel tanto che basti per rovesciare il pronostico. Illusioni, naturalmente, perché la volontà di Veltroni di “perdere con onore” sembra davvero troppo radicata per lasciarsi scalzare da una prospettiva del genere. Ma illusioni preziose, se non altro, per gli operatori dell'informazione, che hanno un disperato bisogno di variare le cronache di una campagna elettorale che, lasciata a se stessa, minaccia di essere quanto più di più noioso e prevedibile si possa immaginare. Un tocco di commedia, da questo punto di vista, è quanto di meglio ci si possa augurare. Il dramma, lo sappiamo, verrà dopo.

    17.02.'08