L'eccezione e le regole

La caccia | Trasmessa il: 05/25/2008


    Quando, quasi mezzo secolo fa, frequentavo, qui a Milano, la facoltà di Lettere e Filosofia, la cattedra di Geografia era coperta da un grande studioso del ramo, che era dotato, peraltro, di un certo spiritaccio bizzarro, che lo portava talvolta a prendere bonariamente in giro noi studenti. Così, in sede d'esame, a qualcuno poteva capitare di dover rispondere, putacaso, a una domanda del tipo di “Mi spieghi, per favore, la differenza tra l'idea di conurbazione in Germania e quella di agglomerato urbano in Gran Bretagna” e, poi, dopo essersi arrampicato sugli specchi per una ventina di minuti in cerca di una risposta plausibile, quando già pensava di avercela fatta, di sentire vanificare i suoi sforzi da un commento come: “Ma no, ma no: i due concetti sono praticamente identici.” Dopo di che, va detto, l'esame proseguiva normalmente, ed essendo quel docente assai capace non solo a livello di ricerca, ma anche dal punto di vista didattico, si risolveva il più delle volte con un ottimo voto.
    Ottimo voto a parte, questo lontano ricordo mi è tornato alla mente leggendo, sul “Corriere” di martedì, della dichiarazione dell'on. Italo Bocchino del Pdl, che, a proposito del tema spinoso degli immigrati che, pur formalmente irregolari, svolgono tuttavia un lavoro socialmente utile, ha confermato l'intenzione della maggioranza di cui fa parte di fare qualcosa in merito, come già annunciato per bocca del sottosegretario Giovanardi e successivamente confermato dal ministro Sacconi, ma con una importante precisazione. “Non usiamo” ha detto “il termine sanatoria, perché appartiene culturalmente alla sinistra”, ma “vogliamo invece,usare il termine 'regolarizzazione' ... che prevede, appunto, la messa in regola a determinate condizioni.” Anche qui, come vedete, si gioca su una distinzione, cui si attribuisce, se non uno statuto scientifico, almeno una posizione valoriale: “la cultura di sinistra” da un lato, “noi invece” dall'altro.
    Se richiesti, non necessariamente in sede d'esame, di spiegare che cosa mai intendesse dire l'onorevole, forse non avremmo forse trovato quella domanda troppo difficile. La destra, si sa, ama le regole ben definite, le procedure certe; la sinistra, irrimediabilmente anarchica e casinara, tende pericolosamente a sovvertirle, “sanandone” la mancata applicazione. Una risposta scontata, dunque, che però rappresenta quasi una parodia concettuale. La si potrebbe controbattere, volendo, argomentando che a destra, tuttavia, risiede anche una scelta d'individualismo estremo che al cieco rispetto della regola privilegia comunque la libertà del soggetto, laddove la sinistra ha sempre manifestato una vocazione sociale e collettiva che richiede, se non una rigida disciplina, almeno una certa regolarità normativa. E poi, come gli ascoltatori della “Caccia” sanno benissimo, se non altro perché l'Accame ce lo ha spiegato spesso, “sanare” – in questi contesti – non significa altro che “riportare a regola”, il che riduce la sottile distinzione dell'on. Bocchino, se non proprio a una variante del classico giochino sul se sia di sinistra la doccia e di destra la vasca da bagno o viceversa, a un banalissimo artificio retorico usato per negare di voler fare qualcosa laddove si intende proprio farlo e per distinguersi da qualcun altro in un campo in cui motivi di distinzione non ce ne sono. Tanto è vero che le “condizioni” di regolarizzazione che lui elenca e che il governo ha in seguito confermato (“avere un lavoro e una casa, il versare le tasse e un datore di lavoro che si impegna a pagare il biglietto aereo in caso di rimpatrio”) sono, più o meno, le stesse previste dalle sanatorie precedenti, siano state disposte da governi di centrosinistra o (con maggiore ampiezza) di centrodestra. Lo sanno benissimo quei suoi colleghi duri e puri, tipo l'on. Borghezio e l'on. Salvini, per cui di regolarizzare qualcuno senza prima rispedirlo a casa a sue spese non è neanche il caso di parlare, a rischio, come sulla stessa pagina del “Corriere” spiega il Borghezio, che in materia nutre sempre tenaci preoccupazioni, di trovarsi invasi da orde di prostitute da strada astutamente travestite da badanti.
    È alle badanti che, infatti, soprattutto alludono i nostri onorevoli del centrodestra (ma mica solo loro) quando affrontano la questione. E si capisce: al loro immenso elettorato piccolo borghese non ne potrebbe importare di meno delle origini etniche e delle condizioni di vita e di lavoro degli addetti all'edilizia o dei raccoglitori stagionali di pomidoro, purché svolgano il loro compito, accettino un salario da fame e non rompano le scatole in giro, ma nessuno vorrebbe vedersi venire in casa la polizia per portar via la moldava o la ecuadoregna che tanto bene si occupava della nonna con l'Alzheimer e visto che in moltissimi, facendo invano domanda per l'ultimo decreto flussi, si sono in pratica autodenunciati, il problema ha una certa urgenza. Ma sembra parecchio difficile che i vari Giovanardi, Bocchini e Sacconi riescano a mantenere la proposta a quel livello, perché, una volta stabilito il principio per cui chi ha un lavoro regolarizzabile deve essere comunque regolarizzato, non si vede proprio come fare a limitarlo a chi opera nell'ambito domestico familiare e non, per esempio, in una fabbrica o un in cantiere. Nonostante tutti gli sforzi in senso contrario, in Italia c'è chi si preoccupa ancora dell'eguaglianza dei diritti.
    Tutta questa polemica, in realtà, è piuttosto futile, nonché un po' indegna, perché il principio della regolarizzazione per chi lavora dovrebbe essere considerato, in un paese civile, il minimo livello ammesso di decenza accettabile e il fatto che in due anni di centrosinistra non si sia neanche pensato di applicarlo resterà una delle vergogne di quel tentativo di governo. Ma è utile, se non altro, perché dimostra senza ambiguità come il problema dell'immigrazione abbia una sua consistenza strutturale, nel senso che degli immigrati non possiamo proprio fare a meno, e non solo per badare ai vecchietti, e quelli che pur di trovare e mantenere uno straccio di consenso giocano, a destra o a sinistra, con il razzismo diffuso nella nostra cultura nazionale, con la paura della diversità e l'insofferenza provinciale per gli usi e l'aspetto altrui che contraddistingue intere regioni (quasi tutte, in effetti), che confondono il tema con quello della sicurezza, aizzando a mani basse paure e pregiudizi e prevedendo politiche repressive che poi non possono neanche applicare, dimostrano di essere ben al di sotto di quel livello di decenza, nonché del tutto indegni di venire considerati una vera classe dirigente. Ci sarà, forse, qualche eccezione, anche se al momento non si vede quale, ma la regola è questa e non saranno le regole imposte da costoro che ci aiuteranno a sciogliere il nodo.

    25.05.'08