Non so quanti di voi abbiano seguito,
martedì scorso, il “microfono aperto” che la radio ha dedicato all’incombente
privatizzazione dell’AEM. Era interessante, ma un po’ malinconico,
nel senso che faceva tristezza sentire tutti quei bravi ascoltatori chiedere
come mai a Palazzo Marino avessero deciso di alienare – a prezzi, sembra,
stracciati – un’impresa che funziona benissimo e assicura utili ingenti,
senza che nessuno si degnasse di dar loro una risposta appena un po’ articolata.
L’uomo del Comune (non ricordo chi fosse, ma non era, comunque,
persona da ricordare) era così sicuro di sé che non faceva nemmeno lo sforzo
di rifarsi alla giustificazione corrente, quella per cui, con i proventi
dell’operazione, si darà il via a una quantità di realizzazioni basilari:
linee metropolitane, sistemazioni urbanistiche e ogni altro possibile bendiddio.
Un argomento che, oltre a contraddire l’antica massima dell’uovo
oggi e della gallina domani, è naturalmente specioso perché nessun progetto
preciso è stato apprestato, le realizzazioni in questione sono state promesse
ai milanesi già in una dozzina di occasioni diverse e i tempi relativi,
comunque, sono tali da eccedere le possibilità operative di qualsiasi giunta.
Solo di pie speranze dunque si tratta, un articolo in cui è facile
largheggiare, che tanto si vedrà poi. In un certo senso, è come se
fosse già cominciata la campagna elettorale.
È toccato al buon Basilio Rizzo, com’è uso, spiegare (senza destare un
gran interesse) che sotto c’era qualcosa d’altro. Che si trattava,
in gran parte, di un problema di vocazione politica. Che il sindaco
e i suoi sentono come un preciso dovere quello di trasferire alla mano
privata i beni e i servizi pubblici, specie se redditizi. Una spiegazione
convincente, ma forse non del tutto esaustiva. I nostri amministratori,
in fondo, non sono gli unici a predicare quella filosofia (è facile immaginare
cosa succederebbe all’AEM se il Comune fosse in mano all’Ulivo), ma certo
è difficile trovare, in tutto il paese, un ceto politico così attento all’utile
di bilancio. La città di Milano, che io sappia, non ha un motto
suo, ma sotto la croce rossa in campo argento del suo stemma ci starebbe
bene un cartiglio con le parole “Fare cassa”.
Non
è una mera questione di conti in ordine. Il pareggio, a coloro, interessa
solo fino a un certo punto. Nelle sue pacate invettive contro i tranvieri
che minano il “modello Milano”, Albertini non ha mai mancato di sottolineare
che l’ATM, unica nel suo ramo in Italia, può vantare un attivo di milioni
di euro. Un risultato di fronte al quale poco o nulla gli importa
che la velocità media dei mezzi urbani a Milano sia la penultima in Europa.
L’uomo,
d’altronde, è fatto così. Per cultura, formazione e convinzioni
non sembra capace di resistere all’idea del realizzo a pronta cassa, com’è
logico per uno che il valore della città lo misura sul costo della vita.
Uno che, avendo il Comune acquistato a buon prezzo, in passato,
un intero edificio adiacente alla Scala, una situazione irripetibile e
una proprietà preziosa per un’istituzione sempre avida di spazi, decide,
visto che i valori immobiliari in zona si sono quadruplicati, che bisogna
venderlo a tutti i costi e se la Scala, in futuro, avrà bisogno di quei
locali si arrangi, tanto, si sa, si può sempre sopraelevare ad libitum
la fabbrica del Piermarini. Anche la privatizzazione dell’AEM,
in fondo, risponde a quella logica. Il titolo, come si dice, è cresciuto
bene, ma non è detto che continui a salire in eterno, dunque vendere, vendere
subito. È la logica del realizzo, che ben si addice a questa stagione
di saldi.
È
anche, con rispetto parlando, una logica da bottegai. E mentre per
i bottegai, a saldi effettuati, il problema è solo quello di rifare le
scorte, non è detto che un ente pubblico, dopo aver dissipato un patrimonio
costruito in un secolo di impegno civico, possa fare altrettanto. E
mentre il Comune potrà vantare un bilancio in attivo, e potrà permettersi
di investire le eccedenze, come ha fatto l’ATM, in bond Cirio o simili,
i cittadini dovranno fare i conti con un tutto un nuovo ceto di monopolisti
privati decisi a fargli pagare elettricità, trasporti, gas, acqua e il
resto quanto gli parrà e piacerà. Non saranno, comunque, problemi
del sindaco. Lui, che non è più rieleggibile, si godrà la meritata
poltrona a Strasburgo. Che dio salvi l’Europa.
25.01.’04