Le trombe e le campane

La caccia | Trasmessa il: 02/10/2002



Che nel paese della politica spettacolo, toccasse a un uomo di spettacolo ridare fiato a un dibattito politico esausto, era, in fondo, inevitabile.  Che la sinistra italiana, intontita com’è da quando gli elettori l’hanno estromessa dall’unico campo sul quale, negli anni scorsi, aveva puntato le proprie carte, quello della gestione del potere, avesse bisogno di un’energica scossa, era fin troppo evidente.   La destra è sempre di più all’offensiva, si sa che quando il nemico dà fiato alle trombe bisogna saper suonare le proprie campane, e che i Rutelli, i Fassino e gli altri esponenti del coté margheritesco ulivista non fossero in grado, per formazione, tendenze, cultura e capacità personali, di far uscire l’opposizione dall’impasse in cui si era cacciata da sola, lo avevano capito un po’ tutti.  Se Nanni Moretti non avesse colto l’occasione di una manifestazione romana particolarmente depressiva per salire sul palco, chiedere la parola e strigliare a dovere quei quadri dirigenti, con particolare riguardo all’area DS, prima o poi ci avrebbe pensato qualcun altro.  L’evento, insomma, era atteso e per i destinatari di quelle rampogne il suo avverarsi dev’essere stato vissuto soprattutto con un senso di sollievo, un po’ come quello del discolo che sa di dover essere punito e quando arriva il momento degli sculaccioni pensa, be’, finalmente ci siamo.
        In effetti, il clamore che ha suscitato il regista di Bianca (se posso citare il suo unico film che mi sia veramente piaciuto) è stato, in un certo senso, incredibile.  I destinatari della sua sfuriata, ben lungi dall’esortarlo, come sarebbe stato più che lecito attendersi, a fare il suo mestiere e a lasciarli lavorare in pace, si sono affrettati a chinare il capo, assicurando che, sì, di quelle critiche sentivano proprio il bisogno e che sarebbero stati lieti di discuterne da pari a pari in qualche prossima e solenne occasione.   Hanno garantito che del punto di vista di un intellettuale così noto, di un artista tanto apprezzato non avrebbero né saputo né voluto prescindere, come se gli intellettuali e gli artisti avessero, in politica, uno status superiore a quello del comune cittadino, e come se i punti di visti politici traessero la loro validità non tanto dalla fondatezza e dalla coerenza interna, quanto dallo status di chi li esplicita.   E se un atteggiamento del genere era affatto spiegabile da parte dei dirigenti dell’Ulivo e della Margherita (in fondo si trattava, come ha fatto notare il perfido Vauro, dell’atteggiamento naturale di due povere comparse di fronte a un regista famoso), molto più sorprendente è stato il credito che all’improvvisato tribuno hanno concesso i commentatori “seri” e la grande stampa.  Da un momento all’altro i principali quotidiani del paese, dalla “Repubblica” alla “Stampa” al “Corriere”, si sono riempiti di editoriali che raccomandavano alla sinistra di non seguire dei consigli tanto pericolosi, perché, sì, certo, fare l’opposizione va bene, specie con un governo come questo, ma purché sia un’opposizione seria, di quella che non contesta la legittimità a governare all’uomo di Arcore e ai suoi alleati.  Come se dal palco di quella piazza romana si fosse levato un invito capace di smuovere l’anima barricadiera di una sinistra perennemente allergica al riformismo e sempre in fremente attesa della rivoluzione.
        Io, come saprete, per la prospettiva della rivoluzione ho sempre avuto una certa malcelata simpatia.  Ma Moretti, sant’Iddio, non l’ha certamente evocata,  In realtà, se devo dirvi proprio come la penso, non mi sembra che abbia detto proprio niente di speciale.  Ha detto, oltre a una quantità di sciocchezze a proposito di Berlusconi che ha vinto le elezioni facendo compravendita televisiva di voti sotto la protezione squadristica di Emilio Fede, che sono cose che fa sempre piacere sentir dire, figuriamoci, ma rivelano una preoccupante incapacità di comprendere i motivi del trionfo della destra nel paese e il coagulo di interessi materiali, egoismi di classe e povertà culturale che lo ha reso possibile, che con questi leader qua non vinceremo mai, che non è poi quella gran scoperta, e che bisognava allearsi con Di Pietro e con Bertinotti, che a lui sta antipatico, ma non si può fare finta che non esista.  Ha fatto, cioè, un discorso piuttosto terra terra, evitando con cura, lui, l’uomo di cultura, l’analista raffinato del disagio sociale, qualsiasi tentativo di mettere in discussione il tipo di politica che ci ha portato a questo punto.  
E questo proprio non va.  Alle scarse prestazioni dei leader disponibili non si rimedia, naturalmente, tirandone fuori dal cappello degli altri, magari un po’ più tosti (un Rutelli con qualche grinta in più, un Fassino che non abbia così evidenti sul volto le stimmate del travet di federazione), ma lavorando a un soggetto politico vitale dal cui seno, grazie al dibattito e al confronto, possano davvero emergere delle personalità dirigenti.   Ed è difficile che si arrivi a tanto se tetragonicamente ci si rifiuta, per partito preso, di mettere in discussione le scelte che hanno portato alla situazione attuale, come a dire  la pretesa di fare concorrenza alla destra sul suo stesso campo, a costo dell’appiattimento sul maggioritario, sullo status quo sociale, sulla guerra e su tutto il resto.  Perché il problema, in definitiva, non è quello di essere troppo remissivi con Berlusconi, che tanto a tenere le distanze ci pensa benissimo lui, ma è quello di non essere troppo remissivi con se stessi, con la propria storia e con le proprie scelte, perché la politica è una cosa seria e non si può ridurre a una questione di buona volontà o di carattere più o meno deciso.
        Moretti, naturalmente, fa tutto un altro mestiere e queste cose non è tenuto a saperle.  I suoi interlocutori, invece, sì e il fatto che si siano trovati così serenamente d’accordo con il loro improvvisato fustigatore fa capire che ne hanno subito riconosciuto gli argomenti per quello che sono: aria freschissima, di quella che lascia esattamente il tempo che trova.   Insomma, il carnevale è alle porte e l’occasione è propizia per un’ennesima mascherata.



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Va detto che, a parte i personaggi di abbiamo appena parlato, c’è qualcuno che sul futuro della sinistra le idee chiare ce le ha.  Secondo un titolo di “Libero”, un quotidiano che normalmente mi guardo bene dal leggere, anche se me ne mandano ogni tanto una copia in omaggio, ma che mi è capitato di sbirciare tra le mani di un signore seduto accanto a me in una istituzione che di questi tempi mi capita di frequentare, il ventisei per cento di quanti hanno risposto al sondaggio telematico lanciato da un noto portale italiano sono favorevoli a che Berlusconi assuma “l’interim dell’Ulivo”.  Che idea straordinaria, mi sono detto.  Ammetterete anche voi che sarebbe la soluzione perfetta a un problema difficile.  Mi sono chiesto, naturalmente, quanti, tra quel ventisei per cento di intervenuti, facciano parte, magari in posizione dirigente, delle attuali organizzazioni in cui si articola l’opposizione.  Appena ho potuto sono andato a controllare, ma, ahimè, il sondaggio non c’era più: quel portale ne organizza uno il giorno, e quello di quando mi sono collegato io riguardava l’opinione dei cittadini sul ritorno dei Savoia.   Mi è restata una curiosità che mi tormenterà per un pezzo.

10.02.’02