Le promesse e i debiti

La caccia | Trasmessa il: 01/21/2001



Il "Culto del cargo", come certamente saprete, si diffuse nelle isole della Melanesia, con particolare riguardo alla Nuova Guinea e agli arcipelaghi viciniori, verso la met‡ di quel ventesimo secolo di cui abbiamo da poco celebrato la dipartita definitiva.  Nasceva da una sorta di riflessione esistenziale degli abitanti di quelle contrade, che vedevano i loro mari e i loro cieli continuamente solcati da navi e da aerei carichi, a quanto sentivano dire, di ogni ben di dio, senza che di questo ben di dio a loro arrivasse mai una benchÈ minima parte.  E siccome costoro si consideravano, come chiunque, al centro di un Universo che, dopo tutto, era stato creato dagli dei loro antenati, il fatto che tanto benessere finisse in mano di altri, per esempio nelle mani dei coloni europei e americani, che pure non sembravano disporre di antenati divini di nessun tipo, tendeva ad apparire come una mostruosa ingiustizia, cui era necessario porre rimedio in qualche modo.  Onde il Culto, che pur nelle varie forme che assunse isola per isola, si proponeva il fine comune di attirare sulle spiagge della Melanesia i vettori di tutti i beni di cui i melanesiani si consideravano a buon diritto gli unici destinatari.
        Tra i profeti storici di questo interessante fenomeno religioso si ricorda un certo Wapi.  Costui, come si apprende a pagina 615 dell'Enciclopedia delle religioni Garzanti (che non Ë una garzantina qualsiasi, ma rappresenta l'edizione italiana dello Knaurs grosse Religions F¸hrer, uno dei pi˘ accreditati manuali contemporanei di storia comparata delle religioni) operava nell'isola di Manus, nel gruppo dell'Ammiragliato, che Ë poi una partizione dell'attuale Arcipelago delle Bismarck.   Era in concorrenza con un altro profeta, il temibile Paliau, e aveva bisogno di argomenti con i quali attirare sul suo movimento il favore popolare.   Per cui, pensa che ci ripensa, diede del Culto una versione in base alla quale, considerando la bont‡ intrinseca degli antenati e la conseguente impossibilit‡ che lasciassero perire i loro discendenti di inedia, l'unico modo di attirare le benefiche navi sulle coste di Manus sarebbe stato quello di non fare assolutamente niente.  Bastava che i fedeli smettessero di lavorare e produrre e, una volta che avessero consumate tutte le risorse disponibili, gli antenati sarebbero stati in un certo senso costretti a mandare quei benedetti carichi, dando inizio in via definitiva all'era dell'abbondanza.
        AhimË.  Non successe niente di simile.  Il wapismo si diffuse, sÏ, a macchia d'olio nella popolazione, gli adepti si affrettarono a consumare tutto il consumabile e smisero con scrupolo di produrre alcunchÈ, ma le navi proprio non si fecero vedere.   La cosa generÚ, com'era ovvio, una certa insoddisfazione e qualcuno espresse dei dubbi su una teologia cosÏ liberale, ma Wapi fu irremovibile.  La prosperit‡ sarebbe arrivata da un momento all'altro e guai se un solo devoto si fosse rimesso a lavorare: avrebbe rovinato tutto.  Ma i manusiani, man mano che aumentavano i morsi della fame, erano sempre meno propensi a dargli retta: alla fine abiurarono in massa, lo denunciarono come falso profeta e negli inevitabili tumulti che ne seguirono trovarono - sembra - il modo di fargli la pelle.  Oggi il Culto del cargo, nell'Arcipelago Bismarck, sopravvive nella veste riformata che gli diede Paliau, secondo cui le navi degli antenati sarebbero arrivate, non ci pioveva, ma un pochino pi˘ tardi, e nel frattempo non sarebbe stato male rimboccarsi le maniche e rimettersi provvisoriamente al lavoro.   Nel panorama  culturale e religioso delle isole del Pacifico del Sud, attualmente, il "movimento di Paliau" rappresenta una delle comunit‡ spirituali sulla cresta dell'onda, ma chiss‡ se qualcuno, sotto sotto, non rimpiange i bei tempi in cui l'unico modo per assicurarsi il benessere era sembrato quello di oziare.
        Vi chiederete, suppongo, perchÈ mai mi sia saltato in mente di raccontarvi questa vecchia storia.  Be', vi confesso che non lo so esattamente neanch'io.  Ma credo che il fatto che ci troviamo all'alba di un'annata elettorale, in cui le promesse di cui saremo bersagliati e gli inviti a far questo e a non fare quest'altro se vorremo ottenere questo o quel risultato saranno tanti, vi abbia avuto una certa parte.  In fondo, Wapi e Paliau, visti da un punto di vista meramente profano, incarnano due possibili modelli elettorali: quello di chi decide di assicurarsi un successo immediato promettendo tutto e subito e poi chi se ne frega e quello di chi,  pi˘ prudentemente, preferisce rimandare l'adempimento delle sue profezie a un futuro il pi˘ lontano possibile.  E se a Wapi,  poveraccio, andÚ male, non Ë detto che un suo eventuale imitatore contemporaneo debba, di necessit‡, seguirne la sorte.  In fondo, nella Melanesia degli anni '40 del XX secolo la civilt‡ moderna non si era ancora pienamente diffusa e vigeva il principio barbarico per cui ogni promessa fosse debito e che delle proprie vane promesse ciascuno potesse essere chiamato a rispondere.  Oggi, naturalmente, un'idea del genere non verrebbe in mente a nessuno, anzi, sembra proprio che a sballarle grosse non si corra il minimo rischio.  Peccato, eh, perchÈ quei melanesiani, ancorchÈ inutilmente sanguinari e rozzamente radicali, una qualche ragione, in fondo in fondo, ce l'avevano (Carlo Oliva).

21.01.'01