Che tra le spie collocate dai servizi segreti polacchi nella struttura
della locale chiesa cattolica ce ne fossero di così alto livello gerarchico
da poter aspirare alla sede primaziale non è cosa che possa stupire nessuno.
Chiunque abbia letto LeCarré sa che le “talpe”, come le chiamano,
si trovano sempre piuttosto vicino al vertice della organizzazione infiltrata,
che è, ovviamente, il luogo in cui è più facile acquisire (e trasmettere)
le informazioni più succulente. I tempi della “operazione Cicero”,
quando a un agente nazista bastò farsi assumere come cameriere all’Ambasciata
inglese in Turchia per mettere le mani su una quantità incredibile di documenti
segreti, compresi i piani dello sbarco in Normandia – come ha raccontato
Joseph L. Mankiewicz in un celebre film con James Mason (Five Fingers,
1952) – sono ormai lontani. Oggi, se c’è una spia in ambasciata,
è più probabile che si tratti dell’ambasciatore in persona. Così,
nessuno meglio di un vescovo con buoni agganci universitari e solide prospettive
di esser fatto, prima o poi, cardinale, poteva soddisfare le esigenze di
un governo desideroso di credibili informazioni sui progetti ecclesiali.
Quanto ai motivi per cui costui possa aver accettato, li possiamo
immaginare, ma, in fondo, non ci interessano: a quanto ne sappiamo, anzi,
questo monsignor Wielgus potrebbe essere stato in servizio fin dall’inizio
della carriera, magari già in seminario. Nel qual caso, si capisce,
la sua, pur effimera, nomina ad Arcivescovo di Varsavia rappresenterebbe
uno sviluppo degno di nota. In realtà, il fatto che le notizie sul
suo smascheramento si siano diffuse nei giorni in cui veniva distribuito
l’ultimo film dell’agente 007, che si basa su una situazione assai più
convenzionale, dimostra soltanto che la realtà, come sempre, supera di
molto la fantasia.
Quello che, piuttosto, dovrebbe dare da pensare
è l’unanimità con cui la gerarchia, a Varsavia e a Roma, è insorta in
difesa di questo traviato confratello. Perché, a quanto mi è sembrato
di capire, che costui avesse fatto la spia nelle due capitali lo sapevano
tutti (almeno tutti quelli che contano) e tutti erano perfettamente concordi
sull’idea di nominarlo lo stesso e tutti, quando il governo ha scoperto
gli altarini, hanno cercato di far finta di niente e di garantirgli comunque
il trono arciepiscopale. Si è sentito il bisogno di scrivere che
nessun ecclesiastico di quel paese, da chierichetto in su, era immune dal
rischio di essere avvicinato con le più insidiose proposte e che ci avevano
provato – gli spudorati – persino con Wojtyla. Monsignor
Navarro Valls, che di Wojtyla fu portavoce, ha sentito il bisogno di raccontare
a “Repubblica” (08.01.007) la strana storia di una telefonata ricevuta
a Mosca da un sedicente vescovo ucraino, che, parlando in latino (ma sbagliando
clamorosamente le concordanze), cercava di attirare lui e il papa in qualche
spionistica trappola. Altri, sulla sua scia, si sono affrettati a
fare analoghe rivelazioni. Il tutto senza veri e propri collegamenti
con la vicenda del povero Wielgus, ma con il fine evidente di far capire
che l’atmosfera era pesante, le tentazioni frequenti e, visto che siamo
tutti peccatori, non era il caso di fare tanto cancan per un semplice episodio
di collaborazionismo.
Sarà. La chiesa ha sempre tenuto a presentare
i propri rapporti con il regime comunista in Polonia, nelle sue varie incarnazioni,
in termini di persecuzione e resistenza. Il governo perseguitava
e la chiesa, grazie all’indomabile volontà dei fedeli e al sostegno dello
Spirito Santo, resisteva e, alla fine, come nel De mortibus persecotorum
di Lattanzio, ha trionfato, facendo cadere l’odioso tiranno. In
questa prospettiva, casi come quelli di monsignor Wielgus sono un po’
imbarazzanti, ma ovvii. Già ai tempi di Lattanzio si discuteva parecchio
sui lapsi, su coloro, cioè, che sotto la pressione dei persecutori, in
qualcosa avevano ceduto. E l’idea prevalente, sia pure non unanime,
era che su di loro, poveracci, non bisognasse infierire.
Esiste, però, un’altra prospettiva possibile.
Io, come tanti, ho avuto qualche occasione di visitare la Polonia
prima dell’ ’89 e, anche se le uniche autorità che mi è capitato di frequentare
erano quelle scolastiche, non ho mai avuto l’impressione che laggiù infuriasse
quella grandissima persecuzione antireligiosa. Era opinione comune,
anzi, che chiesa e stato (chiesa e partito, se preferite) fossero riusciti
a mettere in piedi, con le ovvie tensioni e difficoltà, ma con discreto
successo, una sorta di condominio. Nella scuola, certamente, il cattolicesimo
era messo meglio del marxismo leninismo e più in generale si capiva benissimo
come la chiesa fosse potente e ben radicata in ogni settore e il partito
non potesse non tenerne conto. I singoli episodi di scontro, per
enfatizzati che fossero, restavano, appunto, singoli episodi. Di
laicismo, in quel senso “relativista” che tanto spiace a papa Benedetto,
non c’era assolutamente traccia.
Niente di strano, naturalmente. La chiesa, in età moderna, ha formalmente
condannato la democrazia e non ha mai avuto scrupoli a collaborare con
i regimi autoritari. Un papa del secolo scorso considerava un dono
della Provvidenza la possibilità di avere a che fare con dei politici che
non avessero “gli scrupoli della scuola liberale”. Si riferiva,
si intende, a quel brav’uomo di Mussolini e il comunismo era forse un
boccone un po’ più difficile da ingoiare (per motivi che avevano più attinenza
con la sociologia che con la teologia), ma anche con il comunismo si sarebbe
potuto trovare un modus vivendi. E quando si convive (e si collabora)
è fondamentale poter disporre, a tutti i livelli, di adeguate informazioni
sulla controparte. In casi come questi i fenomeni di infiltrazione
sono, oltre che inevitabili, previsti e ufficiosamente accettati. I
loro protagonisti, più che vere e proprie spie, potrebbero essere considerati
utili agenti di collegamento.
A patto, naturalmente, che il loro ruolo, per inevitabile, previsto e
ufficiosamente accettato che sia, non venga mai dichiarato in quanto tale.
Perché allora salta tutto: lo schema persecutore / perseguitati,
il ruolo eversore della chiesa rispetto al regime e la possibilità
di proporre il modello polacco agli altri paesi a tradizione cattolica.
Certe cose possono essere largamente note (e abbiamo visto come il
passato spionistico di Wielgud lo fosse), ma non si devono dire, mai. Il
mancato arcivescovo, in fondo, si è trovato nella stessa situazione dell’Imperatore
della favola: poteva andarsene in giro nudo quanto gli pareva, a patto
che nessuno avesse il coraggio di farlo notare. Gli è andata male.
14.01.’07