L'arcivescovo nudo

La caccia | Trasmessa il: 01/14/2007




Che tra le spie collocate dai servizi segreti polacchi nella struttura della locale chiesa cattolica ce ne fossero di così alto livello gerarchico da poter aspirare alla sede primaziale non è cosa che possa stupire nessuno.  Chiunque abbia letto LeCarré sa che le “talpe”, come le chiamano, si trovano sempre piuttosto vicino al vertice della organizzazione infiltrata, che è, ovviamente, il luogo in cui è più facile acquisire (e trasmettere) le informazioni più succulente.  I tempi della “operazione Cicero”, quando a un agente nazista bastò farsi assumere come cameriere all’Ambasciata inglese in Turchia per mettere le mani su una quantità incredibile di documenti segreti, compresi i piani dello sbarco in Normandia – come ha raccontato Joseph L. Mankiewicz in un celebre film con James Mason (Five Fingers, 1952) – sono ormai lontani.  Oggi, se c’è una spia in ambasciata, è più probabile che si tratti dell’ambasciatore in persona.  Così, nessuno meglio di un vescovo con buoni agganci universitari e solide prospettive di esser fatto, prima o poi, cardinale, poteva soddisfare le esigenze di un governo desideroso di credibili informazioni sui progetti ecclesiali.  Quanto ai motivi per cui costui possa aver accettato, li possiamo immaginare, ma, in fondo, non ci interessano: a quanto ne sappiamo, anzi, questo monsignor Wielgus potrebbe essere stato in servizio fin dall’inizio della carriera, magari già in seminario.  Nel qual caso, si capisce, la sua, pur effimera, nomina ad Arcivescovo di Varsavia rappresenterebbe uno sviluppo degno di nota.  In realtà, il fatto che le notizie sul suo smascheramento si siano diffuse nei giorni in cui veniva distribuito l’ultimo film dell’agente 007, che si basa su una situazione assai più convenzionale, dimostra soltanto che la realtà, come sempre, supera di molto la fantasia.

       Quello che, piuttosto, dovrebbe dare da pensare è l’unanimità con cui la gerarchia, a Varsavia e a Roma, è insorta in difesa di questo traviato confratello.  Perché, a quanto mi è sembrato di capire, che costui avesse fatto la spia nelle due capitali lo sapevano tutti (almeno tutti quelli che contano) e tutti erano perfettamente concordi sull’idea di nominarlo lo stesso e tutti, quando il governo ha scoperto gli altarini, hanno cercato di far finta di niente e di garantirgli comunque il trono arciepiscopale.  Si è sentito il bisogno di scrivere che nessun ecclesiastico di quel paese, da chierichetto in su, era immune dal rischio di essere avvicinato con le più insidiose proposte e che ci avevano provato – gli spudorati  – persino con Wojtyla.  Monsignor Navarro Valls, che di Wojtyla fu portavoce, ha sentito il bisogno di raccontare a “Repubblica” (08.01.007) la strana storia di una telefonata ricevuta a Mosca da un sedicente vescovo ucraino, che, parlando in latino (ma sbagliando clamorosamente le concordanze), cercava di attirare lui e il papa in qualche spionistica trappola.  Altri, sulla sua scia, si sono affrettati a fare analoghe rivelazioni.  Il tutto senza veri e propri collegamenti con la vicenda del povero Wielgus, ma con il fine evidente di far capire che l’atmosfera era pesante, le tentazioni frequenti e, visto che siamo tutti peccatori, non era il caso di fare tanto cancan per un semplice episodio di collaborazionismo.

       Sarà.  La chiesa ha sempre tenuto a presentare i propri rapporti con il regime comunista in Polonia, nelle sue varie incarnazioni, in termini di persecuzione e resistenza.  Il governo perseguitava e la chiesa, grazie all’indomabile volontà dei fedeli e al sostegno dello Spirito Santo, resisteva e, alla fine, come nel De mortibus persecotorum di Lattanzio, ha trionfato, facendo cadere l’odioso tiranno.  In questa prospettiva, casi come quelli di monsignor Wielgus sono un po’ imbarazzanti, ma ovvii.  Già ai tempi di Lattanzio si discuteva parecchio sui lapsi, su coloro, cioè, che sotto la pressione dei persecutori, in qualcosa avevano ceduto.  E l’idea prevalente, sia pure non unanime, era che su di loro, poveracci, non bisognasse infierire.

       Esiste, però, un’altra prospettiva possibile.  Io, come tanti, ho avuto qualche occasione di visitare la Polonia prima dell’ ’89 e, anche se le uniche autorità che mi è capitato di frequentare erano quelle scolastiche, non ho mai avuto l’impressione che laggiù infuriasse quella grandissima persecuzione antireligiosa.  Era opinione comune, anzi, che chiesa e stato (chiesa e partito, se preferite) fossero riusciti a mettere in piedi, con le ovvie tensioni e difficoltà, ma con discreto successo, una sorta di condominio.  Nella scuola, certamente, il cattolicesimo era messo meglio del marxismo leninismo e più in generale si capiva benissimo come la chiesa fosse potente e ben radicata in ogni settore e il partito non potesse non tenerne conto.  I singoli episodi di scontro, per enfatizzati che fossero, restavano, appunto, singoli episodi.  Di laicismo, in quel senso “relativista” che tanto spiace a papa Benedetto, non c’era assolutamente traccia.

Niente di strano, naturalmente.  La chiesa, in età moderna, ha formalmente condannato la democrazia e non ha mai avuto scrupoli a collaborare con i regimi autoritari.  Un papa del secolo scorso considerava un dono della Provvidenza la possibilità di avere a che fare con dei politici che non avessero “gli scrupoli della scuola liberale”.  Si riferiva, si intende, a quel brav’uomo di Mussolini e il comunismo era forse un boccone un po’ più difficile da ingoiare (per motivi che avevano più attinenza con la sociologia che con la teologia), ma anche con il comunismo si sarebbe potuto trovare un modus vivendi.  E quando si convive (e si collabora) è fondamentale poter disporre, a tutti i livelli, di adeguate informazioni sulla controparte.  In casi come questi i fenomeni di infiltrazione sono, oltre che inevitabili, previsti e ufficiosamente accettati.  I loro protagonisti, più che vere e proprie spie, potrebbero essere considerati utili agenti di  collegamento.

A patto, naturalmente, che il loro ruolo, per inevitabile, previsto e ufficiosamente accettato che sia, non venga mai dichiarato in quanto tale.  Perché allora salta tutto: lo schema persecutore / perseguitati, il ruolo eversore della chiesa rispetto al regime  e la possibilità di proporre il modello polacco agli altri paesi a tradizione cattolica.  Certe cose possono essere largamente note (e abbiamo visto come il passato spionistico di Wielgud lo fosse), ma non si devono dire, mai.  Il mancato arcivescovo, in fondo, si è trovato nella stessa situazione dell’Imperatore della favola: poteva andarsene in giro nudo quanto gli pareva, a patto che nessuno avesse il coraggio di farlo notare.   Gli è andata male.


14.01.’07