La verità deviata

La caccia | Trasmessa il: 12/13/2009


    C'è una strana contraddizione nell'intervento – peraltro sensato – che Carlo Lucarelli dedica, sulla “Unità” di venerdì, al quarantesimo anniversario delle bombe di piazza Fontana. Di quell'evento, scrive il noto autore di noir, “abbiamo una strana percezione ... che ce lo fa considerare un insondabile mistero.” Ma non è così. “Di quello che è successo quel 12 dicembre 1969, di cosa lo ha preceduto e del contesto in cui si inquadra sappiamo molto.” È una storia fin troppo chiara: “una strage organizzata nell'ambito della strategia della tensione, compiuta dalla destra eversiva e coperta dai servizi segreti italiani e americani.” Il giudizio mi sembra sensato, appunto, e condivisibile, anche se forse ai “servizi” si potrebbe attribuire una funzione più attiva di quella di semplici occultatori delle malefatte altrui, riconoscendone il ruolo primario di organizzatori e registi occulti. Cosa che spiegherebbe, tra l'altro, la mossa per cui, seguendo una sorta di riflesso condizionato della cultura poliziesca, si cercò di attribuire la responsabilità materiale agli anarchici, eleggendoli così a capro espiatorio di tutta la sinistra, un tentativo che solo l'ostinata e faticosa mobilitazione dal basso in difesa di Valpreda e degli altri accusati riuscì a far fallire, vanificando di fatto l'intero disegno. Il quadro comunque è chiarissimo, le lacune da colmare sono in gran parte questioni di dettaglio (di meri dettagli – in effetti – si occupano le rivelazioni e le ricostruzioni recenti, compreso il noto, discutibile libro di Paolo Cucchiarelli) e gli italiani possono ripetere a buon diritto la condanna di Pierpaolo Pasolini che già il 14 novembre 1974 lanciava il suo solenne e provocatorio “Io so”.
    Non ha molto senso, a questo punto, la seconda parte del discorso di Lucarelli, anche se argomenti analoghi sono stati impiegati, sui giornali di sabato, da altri e sono risuonati persino nelle parole del Capo dello Stato. Secondo questa logica, a partire da un assioma indiscutibile, quella per cui tra le verità che ci sono state negate vanno annoverati “i nomi degli assassini e dei loro mandanti in una sentenza”, che non è certo lacuna da poco, si chiede di “andare oltre”. Da quando è stata pronunciata l'ultima sentenza, dice lo scrittore, “di novità sulla strage ne sono uscite parecchie”: rivelazioni e testimonianze, soprattutto, che il passare del tempo ha reso più disponibili di quanto non fossero allora. Per cui “è arrivato il momento di fare qualcosa di più”, ovvero “riaprire le indagini e trovare anche quelle verità che ancora mancano”, a partire, suppongo dal nome e cognome dei responsabili. “Lo chiedono i parenti delle vittime, lo chiedono le vittime stesse e lo chiediamo tutti noi, che pure se non c'eravamo sentiamo ancora aperta quella ferita”.
    Ecco, l'esigenza è certamente rispettabile, ma non so, francamente, quanto la si possa proporre oggi. E questo per due motivi: innanzitutto perché i quarant'anni che sono passati da allora rendono, sì, certe testimonianze più disponibili, ma non al punto di spianare la strada a un'indagine in piena regola. Molti protagonisti se ne sono andati, molte prove sono state distrutte, e il bilancio non è forse a favore delle novità positive. E poi perché, in un certo senso, la richiesta di una verità giudiziaria, il perpetuo invito a “fare luce” che ci accompagna (e un po' ci affligge) da allora, è in implicita contraddizione con la verità storica così come l'abbiamo raggiunta. Nella verità storica, quella per cui la strage di piazza Fontana è stata una strage fascista di stato, rientra anche la consapevolezza di come lo stato abbia avuto cura di proteggersi, occultando i nomi di quei suoi servitori che dell'attentato furono organizzatori ed esecutori materiali.
    Perché chi dovrebbe, in ultima analisi, fare luce? Quella magistratura che dopo avere, all'inizio, abbracciato entusiasticamente il tentativo di incastrare gli anarchici, non ha mai mancato, in seguito, di mandare assolti, per un motivo o per l'altro, i fascisti? Quei “servizi” e quelle agenzie che non potrebbero, a conclusione di una indagine seria, far altro che accusare se stesse? Gli uomini non sono più quelli, ovviamente, ma l'idea per cui con il turnover del personale dovrebbe essersi rinnovata contestualmente la logica delle strutture è una illusione tanto tenace quanto pericolosa.
    In fondo, se ci pensate, da quando si è cominciato a parlare di “strage di stato” – e il termine figura già nel titolo della controinchiesta della sinistra extraparlamentare romana uscita nel maggio del 1970 – si è anche strenuamente operato per ridurre la portata dell'espressione. La sinistra, e non solo quella moderata, non ha mai rinunciato al tentativo di limitare, per così dire, i danni che le istituzioni avrebbero potuto subirne. Quando fu chiaro a tutti, ma proprio a tutti, che i servizi c'entravano, e come, si cominciò a specificare che di servizi, sì, si trattava, ma di servizi “deviati”, come se in aggiunta alle figure e alle organizzazioni che agivano al fianco dei fasci e dietro di loro ce ne fossero altre di provata fede democratica su cui si poteva comunque contare. E se l'aggettivo, nell'uso, sarebbe restato limitato appunto ai servizi (con i quali avrebbe finito per formare un'inscindibile endiadi) era opinione comune che fossero “deviati” nello stesso senso i vari esponenti politici, i funzionari, i poliziotti, i dirigenti, i partiti colti di volta in volta con le mani nel sacco. Era il tentativo disperato di evocare, contro i “cattivi” che mettevano le bombe o proteggevano chi lo faceva, una realtà istituzionale “buona” cui appoggiarsi e cui affidare il compito di fare giustizia. Ci hanno provato in tanti, ma non si può dire che i loro sforzi ci abbiano portato lontano.
    In realtà, l'esplosione alla Banca dell'Agricoltura, che chiuse una fase di grandi prospettive e speranze e segnò l'apertura di una stagione politica nuova e terribile, in cui le forze ostili al cambiamento avrebbero gettato sul piatto tutto il peso della violenza omicida, del disprezzo per la vita umana e della manipolazione mediatica, non fu affatto il risultato di un'azione in qualche modo deviata. I gruppi che la vollero e la eseguirono erano perfettamente inseriti in quello che allora era uso chiamare “il sistema” e seppero guidarne l'evoluzione nel senso gradito ai loro padroni. Ancor oggi, in effetti, ci tocca gustarne gli amarissimi frutti.
    Di questo siamo consapevoli e da questa verità non siamo disposti a deviare.
13.12.'09


    Nota

    Il libro di Paolo Cucchiarini cui si allude è Il mistero di piazza Fontana, ed. Ponte alle Grazie, 2009. La controinchiesta La strage di stato è stata ripubblicata da Odradek nel 2006.