Personalmente – lo ammetto senza problemi
– non sono un grande fruitore di Internet. Sì, possiedo un computer,
un modem e un abbonamento e tutte le mattine, prima di mettermi a lavorare,
controllo se qualcuno non mi abbia per caso mandato un messaggio elettronico:
di solito non trovo niente, ma sono contento lo stesso. Ogni tanto
mi azzardo a visitare qualche sito che penso contenga del materiale interessante
(che so, quello della Società di Cultura Metodologico Operativa, che, peraltro,
non è mai aggiornato, ed è strano, perché dovrebbe essere affidato a gente
seria), ma quanto a navigare, be’, preferisco ancora il vecchio metodo,
quello con le navi e i porti. Eppure, devo confessarvi che quando
giovedì scorso ho scoperto che, per qualche motivo, non riuscivo a connettermi
con la rete, sono entrato in uno stato di agitazione straordinaria. Agitazione,
anzi, è un termine riduttivo: si è trattata di un’esperienza sgradevole,
al limite della paranoia. Sapevo bene di non dipendere dalla mitica
rete né dal punto di vista del lavoro né da quello del divertimento, di
aver vissuto, anzi, cinquantatré cinquantaseisimi della mia vita senza
neanche sapere che cos’è un modem, eppure non riuscivo proprio a rassegnarmi
all’idea di essere momentaneamente privato di quelle virtuali meraviglie.
Ho passato due giorni interi a ripetere coattivamente le procedure di collegamento,
nella speranza di imbroccare, prima o poi, la via buona, o attaccato al
telefono tentando di collegarmi con il numero (ovviamente occupato) dell’assistenza
tecnica del mio provider, per trovarmi alle prese, quando per caso era
libero, con interlocutori dalla voce sempre diversa che, dapprima, ipotizzavano
potesse trattarsi di un problema di linea con cui loro, dio scampi, non
avevano nulla a che fare e che soltanto con il passare delle ore ammettevano
di aver avuto qualche problema con il trasloco del server, qualsiasi cosa
fosse, e di essere incappati in un guasto inatteso. Insomma, una
cosa da far incanutire i capelli (se, nel mio caso, canuti non fossero
stati già).
Be’, direte voi, ciascuno ha le nevrosi che merita.
Ed è vero, naturalmente. Ma è anche vero che, come spiegazione,
quella della nevrosi non basta: sono troppo aduso a denunciare le pagliuzze
ideologiche che intravedo negli occhi dei miei fratelli per non rendermi
conto della trave elettronica da cui sono afflitto io. Per cui, non
c’è santi, devo cercare di capire qual è il motivo di un comportamento
tanto bizzarro.
Le autoanalisi sono sempre difficili e non so proprio
se e quando ne verrò a capo. Per ora ho da sottoporvi soltanto un’ipotesi
provvisoria. Escluso un attacco improvviso di virus del navigatore,
da cui non mi risulta di essere mai stato contagiato, credo si possa escludere
anche un caso da fobia da isolamento, del timore – cioè – di non poter
essere raggiunto da qualcuno che, per qualche motivo particolarmente importante,
forse, sta cercando di contattarti. Se soffrissi di questa sindrome
non sopporterei, come invece sopporto benissimo, la mancanza di un telefonino
e avrei con il servizio postale un rapporto molto meno rilassato. No.
Temo, piuttosto, di essere stato vittima di una tipica crisi di onnipotenza
mancata. Di essermi tanto incazzato, in sostanza, perché i motivi
per cui a collegarmi proprio non ci riuscivo continuavano, come continuano,
a sfuggirmi senza speranza. Le mie manipolazioni producevano sul
monitor dei messaggi di errore contenenti consigli che per me avevano meno
senso di un’iscrizione in lineare A. Leggevo che il computer selezionato
per la connessione non era in grado di rispondere e che, prima di riprovare,
dovevo controllare la password o – peggio – riconfigurare le impostazioni
del server nelle proprietà del collegamento e mi chiedevo cosa diavolo
significassero quelle parole. Le voci al telefono insinuavano che
mi avrebbe molto giovato aggiornare il driver del modem e mi suggerivano
di controllare la configurazione di rete e io mi chiedevo cosa mai fosse
il driver del modem e con quali strane procedure si potesse controllare
una configurazione di rete. Insomma, un disastro. Un disastro
aggravato dal sospetto che forse il problema non era solo mio, perché ormai
tutta la nostra organizzazione sociale e il nostro benessere dipendono
sempre di più da meccanismi il cui funzionamento è fuori dalla nostra portata
e affidato ai cultori di una scienza sempre più iniziatica ed esoterica,
che non hanno – a quanto sembra – interesse alcuno a farsi capire dagli
altri.
E non credo che la situazione sia, tutto sommato,
la stessa, in cui ci troviamo tutti quando ci si rompe il televisore o
non ci parte l’automobile. È vero che anche in questi casi nessuno
è in grado di cavarsela e dobbiamo ricorrere, se ne troviamo di disponibili,
agli esperti del ramo, ma è anche vero che di come funzioni un televisore
o di come sia fatta un’automobile abbiamo comunque una qualche idea, sia
pur vaga e intuitiva. La cultura sociale oggi diffusa ammette ed
esige delle specializzazioni e ne sa riconoscere l’inevitabile funzionalità,
che non nuoce all’unitarietà dei modelli scientifici di cui ci serviamo
tutti. Ma non so quanto e quanto a lungo una cultura possa sopportare
l’esistenza al proprio interno di un settore esoterico incapace di comunicare,
persino a livello di linguaggio, con tutti gli altri.
Naturalmente queste possono essere delle estensioni
indebite. Potrebbe darsi benissimo che il settore in questione non
sia affatto così separato dal sistema globale quanto è sembrato a me. Nel
qual caso, a trovarmi isolato, a essere incapace di rapportarmi con la
cultura del mio tempo, sarei semplicemente io. Questa incapacità
potrebbe avere molte spiegazioni, ma, stringi stringi, vorrebbe semplicemente
dire che chi ne soffre non è stato in grado di restare al passo con i tempi,
che è, anche culturalmente, invecchiato.
Be’, ammetterete che anche questa ipotesi è più
che sufficiente per portare sull’orlo di una crisi di nervi.
07.11.’99