La sostanza vera

La caccia | Trasmessa il: 03/07/2010


    Credo che nessuno, nemmeno il più sfrenatamente ottimista dei nemici dell'attuale governo, abbia sperato davvero che, nonostante tutto, si potesse arrivare alle elezioni regionali senza le liste (e i listini) del pio Formigoni in Lombardia e dell'astuta Polverini nel Lazio. Da un lato, perché per vincere per squalifica dell'avversario nelle due regioni chiave del paese occorreva parecchio, ma parecchio aiuto da parte della Provvidenza e si sa che la Provvidenza, in queste faccende, sta risolutamente dall'altra parte. Dall'altro, perché il problema, come ha ricordato il presidente del Senato Schifani, che, per quanto strano possa sembrare, rappresenta la seconda carica dello stato, era semplicemente di forma e non poteva prevalere, quindi, sulle questioni di sostanza. È vero che, in un certo qual senso, questo punto di vista (che moltissimi altri hanno poi fatto proprio) metteva in crisi totale il ruolo dei tribunali nelle questioni elettorali, visto che non si capisce a qual fine si dovrebbe chiamarli in causa se la loro funzione non fosse appunto quella di verificare che tutto sia a posto dal punto di vista formale, ma è anche vero che la sostanza cui quella forma si oppone era ed è, per così dire, particolarmente sostanziosa, consistendo nel fatto che i sostenitori delle liste in discussione detengono solidamente il potere e hanno quindi la potestà di modificare in qualsiasi momento tutte le forme che vogliono, come infatti hanno fatto. Sì, il diritto, in teoria, non funziona in questo modo, ma anche se Platone ha scritto gli ultimi nove libri della Repubblica per confutare l'opposta opinione espressa da Trasimaco di Calcedone nel primo, quella per cui il diritto è “ciò che conviene al più forte”, le cose da allora (e anche da prima) sono sempre andate così. Per cui, anche se non tutti potevano prevedere le finezze (o le ipocrisie) di un “decreto interpretativo”, era assolutamente lecito attendersi che si trovasse l modo di far uscire dal cappello a cilindro del Tar o del Consiglio di Stato o di sa Iddio quale altro organo competente un coniglio capace di persuaderci che si può benissimo presentare una lista anche dopo la scadenza dei termini di presentazione e non è affatto necessario disporre del numero minimo di presentatori prescritto. Prepariamoci quindi ad andare festosi a votare, nel sereno convincimento che la difesa dei diritti di tutti è riposta nelle mani più degne e vincerà sicuramente il migliore.
    Resta da risolvere, naturalmente, il problema di perché mai qualcuno abbia sentito il bisogno di stabilire una normativa della quale si riesce a fare così agevolmente a meno. Ma basta, per risolverlo, scorrere le dichiarazioni sfuggite, di fronte all'oltraggio, ai principali esponenti di quella parte politica. Tutti costoro, o quasi, oltre a minacciare sfracelli nel caso che la questione non fosse stata rapidamente risolta nel senso da loro auspicato, hanno impostato il problema in termini rigorosamente quantitativi. Non si poteva accettare, hanno detto, che dalle elezioni lombarde fosse escluso il sessanta per cento degli aventi diritto, o che una percentuale altrettanto imponente venisse estromessa da quelle del Lazio. Ora, a parte il fatto che le elezioni servono appunto a stabilire la distribuzione dei consensi tra i cittadini, per cui fare delle cifre prima che si siano svolte significa un po' mettere il classico carro davanti ai buoi, ammetterete che questo modo di presentare le cose autorizzava e autorizza a chiedersi se coloro che lo proponevano non ritenessero per avventura che ove la percentuale in discrimine fosse stata, diciamo, dello zero virgola tre, la faccenda non avrebbe avuto importanza alcuna. Che non è soltanto una manifestazione di arroganza (e tutta la vicenda, come si è svolta, dal pressapochismo impiegato nella presentazione delle liste alle reazioni seguite al loro rigetto, per non dire della soluzione finale, trasuda arroganza, è intrisa dal convincimento di essere al di sopra delle leggi normali), ma è la spia che più eloquente non potrebbe essere della vera funzione di quelle norme di garanzia. Sono di garanzia, sì, ma di garanzia contro gli altri, strumento di sicura e inappellabile esclusione di quanti volessero prendere posto a un tavolo da cui chi ci è già seduto preferisce escludere commensali ulteriori. In un quadro politico largamente bloccato come quello in cui ci muoviamo, le norme burocratiche sul numero delle firme da presentare, sul tipo di certificazione richiesta, sulla forma dei timbri da apporre sui moduli e compagnia bella, servono eminentemente a tenere alla larga irregolari e nuovi venuti. Non per niente alle elezioni politiche ne è esonerato chi sia già presente nelle Camere da rinnovare. E non per niente le forze consolidate se ne preoccupano così poco da inciampare con tanta facilità in simili incidenti di percorso. Da questo punto di vista, l'indignazione esibita dall'opposizione, la cui ragionevolezza è stata ricambiata, more solito, con vilipendi e male parole, suona oggi un po' falsa e sulla mobilitazione che alcuni suoi esponenti promettono non è il caso di fare moltissimo conto. La soluzione non è stata forse bipartisan, ma sulla stessa barca ci stanno sicuramente tutti.
07.03.'10